La chiusura di Megaupload è soltanto l’inizio di una nuova era e non solo. Rappresenta l’inizio di una nuova consapevolezza e, soprattutto, l’inizio della fine di tutti quei siti che, cresciuti sull’idea del “tanto non ci fermano”, devono ora rivedere improvvisamente gli assunti fondamentali della propria attività. In poche ore gran parte dei simil-Megaupload hanno chiuso i battenti o quasi: FileSonic, FileServe, FileJungle, UploadStation, FilePost ed altri ancora hanno girato le spalle al passato ed hanno tentato di ripulirsi l’immagine.
Chi chiude e chi cambia: alcuni servizi hanno semplicemente fermato le funzioni di file sharing, consentendo vuote opportunità di host remoto che ad oggi non sono certamente sufficienti per motivare l’uso del servizio, tantomeno se a pagamento. Chi non chiude volontariamente, insomma, chiuderà per carenza di mercato.
La causa di un effetto domino di questo tipo è evidente: il timore di trovarsi a dover fare i conti con l’FBI è troppo urgente e concreto per non costringere ad un passo indietro cautelativo. Chi aveva profili a pagamento o file caricati sui server ne pagherà le conseguenze perdendo file o denaro. E non potendo rivendicare i propri diritti presso alcuna autorità.
L’arresto di Kim Dotcom e la chiusura di Megaupload è l’inizio di un nuovo modo di intendere la distribuzione online. Il file sharing di massa, nato con Napster ed evolutosi verso Kazaa, Emule, BitTorrent ed altre realtà simili, aveva trovato un suo equilibrio su servizi che, promettendo host remoto, celavano invece tra le maglie della legge la possibilità di scambiare file impunemente. E se i detentori del copyright chiedevano la rimozione del materiale, con scuse di varia natura se ne dribblavano le imposizioni tornando a rilanciare l’attività pirata.
Il 4% del traffico online finiva fino a pochi giorni or sono sui domini della galassia Megaupload: in queste ore la riorganizzazione in atto non ha ancora trovato sbocchi e l’utenza non ha ancora trovato soluzioni alternative. Vari tentativi di phishing ostacolano l’emersione di nuove realtà, Anonyupload deve ancora confermare le proprie promesse (update: già sgonfiatesi nel giro di 24 ore) ed il passaparola è tanto concitato quanto confuso: Megaupload è in cerca di eredi mentre i suoi responsabili sono in cerca di un cavillo legale a cui appendere le proprie speranze. Ed in questa fase potrebbe inserirsi un elemento per certi versi nuovo: l’alternativa legale, per la prima volta potenzialmente concorrenziale.
La chiusura di Megaupload rappresenta una opportunità irrinunciabile. La grande distribuzione musicale, infatti, sta cercando online nuovi spazi per la distribuzione dei file e fenomeni quali Megaupload erano un ostacolo troppo scomodo per tollerarlo ulteriormente. Da Google Music ad iTunes Match, passando per le ambizioni di Facebook ed i tentativi di Spotify, rappresentano l’orizzonte legale a cui il settore ambisce: cancellato il nemico comune, ci sono ora ampi spazi di manovra entro cui agire. La chiusura di Megaupload significa la nascita di una opportunità, una enorme opportunità. Ci sono gli spazi giusti per le manovre necessarie e l’industria della produzione musicale e cinematografica non può sbagliare: l’utenza va incoraggiata all’alternativa legale poiché Megaupload non c’è più e mai più ci sarà.
Chiuso un sito se ne fa un altro? Non sempre. Il paradigma valido fino ad oggi non faceva i conti con alternative di mercato legali e credibili, cosa che invece in questa fase il mercato potrebbe invece proporre. Quando iTunes Match arriverà in Italia assieme alle sue opportunità ed il suo “condono”, quanti saranno a cedere alle lusinghe della comoda legalità targata Apple?
La chiusura di Megaupload, insomma, chiude una parentesi che forse è ben più ampia del solo Megaupload. Ed in questa nuova dimensione la SOPA potrebbe non servire più: forse il punto di incontro tra la domanda e l’offerta è sempre più vicino e raggiungibile. Forse dalle tensioni di oggi si potrà arrivare ad una pace nuova, accettabile per l’utenza e redditizia per i produttori. Forse.