Nel silenzio dei corridoi dei palazzi di vetro si sta giocando una partita dall’esito imprevedibile ma importante per il futuro di Internet. Ieri, uno dei suoi padri, Vinton Cerf, ha testimoniato davanti alla Commissione della Camera dei rappresentanti per l’Energia e il Commercio a proposito di una teoria che si tra profilando all’orizzonte: spostare Internet nell’alveo delle Nazioni Unite. Possibilità che ai tecnici non piace, mentre a molti politici sì. Molto.
Nel suo intervento (PDF) il vice presidente di Google è stato chiaro:
Il controllo top-down dei governi può ostacolare l’innovazione e la crescita di Internet. Tale percorso promuove l’esclusione, la sorveglianza indiscriminata e una stretta sulla gestione centralizzata. […] Il più grande punto di forza dell’attuale sistema di governance di Internet è la sua democrazia meritocratica. Chiunque può esprimere idee e opinioni, ma le decisioni finali sono disciplinate da un ampio consenso. Potrebbe non essere sempre il più conveniente dei sistemi, ma è il più bello, il più sicuro e storicamente il modo più efficace per garantire che le buone idee vincano e quelle cattive muoiano.
La deadline per prendere questa decisione epocale è il 14 ottobre 2012, quando a Dubai si riunirà l’ITU (International Telecommunication Union), la Conferenza Mondiale delle Nazioni che discuterà dell’eventualità di modificare le legislazioni sulla rete coordinandole attraverso un organismo sovranazionale. Si può definire il primo referendum politico su Internet e stanno partecipando tutti, compreso quei paesi non particolarmente amanti della neutralità della rete, come Cina e Russia, che non a caso stanno spingendo per questa nuova ipotesi. Nel palazzo di vetro, infatti, questi paesi pesano molto più di quanto non riescano ad incidere invece nella realtà su Internet, gestito da società come l’ICANN, con sede negli Stati Uniti, o il WWWC o l’Internet Engineering Task Force. Organismi sostanzialmente prepolitici e non-profit.
La questione è enormemente complessa: si tratta di inventarsi una governance multi-stakeholder simile all’attuale, ma senza le controversie internazionali sulle telecomunicazioni, rinegoziando un trattato del 1988 ma in pratica decidendo per la prima volta nella storia cosa fare di Internet. Ma è davvero auspicabile? Secondo gli americani, c’è il rischio concreto di trasformare Internet in una moneta di scambio politico, che la Russia, un po’ ipocritamente, definisce «Convenzione internazionale sulla sicurezza dell’informazione». Ciò finirebbe per fare accettare erosioni della libertà di espressione in cambio di qualcos’altro, secondo logiche che a quel punto non capirebbe più nessuno se non gli esperti di geopolitica.
Anche la Cina, tramite un suo ambasciatore, Wang Qun, ha già fatto sapere di considerare inammissibile che gli Usa continuino a esercitare una cyber-potenza in nome della libertà della rete. Schermaglie, al momento, ma che in occasione dell’ITU faranno scintille davanti a 193 delegazioni da tutto il mondo.
Il timore di Usa ed Europa è che Iran, Cina e Russia approfittino della indifferenza di molte nazioni povere per creare una maggioranza che voti alcuni emendamenti-trappola sulla nuova convenzione che permettano di isolare i dissidenti politici. Da qui la manovra a tenaglia dell’occidente, che da un lato sta lavorando a un testo diverso, che blindi lo status quo di Internet, e dall’altro sta ingolosendo le nazioni povere (già calendarizzati 50 incontri bilaterali) con promesse di tariffe ridotte e sostegno allo sviluppo del Web, con il beneplacito di aziende come Google, Facebook e Netflix.