Una tassa globale su Internet, da far pagare ai colossi privati della rete. Questa è una delle proposte più discusse – e discutibili – che arriveranno sui tavoli del prossimo ITU, la grande assemblea nelle Nazioni Unite chiamata alla fine dell’anno a decidere del futuro di Internet. Il progetto porta la firma di una lobby europea e sembra spaccare i rapporti di buon vicinato con gli Usa.
Le Nazioni Unite dovranno votare su una nuova tassa mirata ai più grandi fornitori di contenuti Web, tra cui Google, Facebook, Apple e Netflix, e sono già cominciate le scaramucce – diplomatiche e via stampa – tra i due continenti per giustificare o stoppare la proposta. Sulla scrivania di Obama, racconta CNet, sono già arrivati due documenti (1 – 2) di preparazione alla prossima World Conference on International Telecommunications (WCIT), dove si giocherà la partita più importante, quando in campo ci saranno tutte le nazioni del mondo.
La tassa sui siti è stata ideata dalla ETNO (European Telecommunications Network Operators Association), un’associazione con sede a Bruxelles che raggruppa aziende di 35 paesi per un totale di 1,6 milioni di lavoratori e 600 miliardi di dollari di fatturato, e pare fatta apposta per colpire le casse delle società della Silicon Valley. Se la proposta è nuova, vecchia è però la questione che solleva: le telco europee hanno sempre puntato il dito contro i grandi vettori del web d’oltreoceano, i quali sia fiscalmente che dal punto di vista commerciale producono enormi profitti stando fisicamente sulle reti di tutti, comprese quelle del vecchio continente, perché hanno utenti in tutto il mondo, ma ciò che conta sono i loro server in house. La tassa di cui si parla in pratica copierebbe il modello delle telefonate internazionali in cui è la rete del destinatario a impostare la tariffa.
Modello decisamente più costoso (si immagina di diversi miliardi di dollari; non a caso a proporlo sono perlopiù operatori della telefonia, compreso Telecom Italia), che potrebbe avere un effetto devastante sullo sviluppo del web nei paesi poveri. Tanto che alcuni esponenti della Federal Trade Commission hanno già commentato sui giornali che questa idea «potrebbe tagliar fuori il terzo mondo da Internet». Per non parlare delle start up di impresa, che non possono certo permettersi server in tutti i paesi: il trucchetto per evitare l’effetto chiamata a carico del destinatario.
Tra i documenti fin qui trapelati, quello della ETNO è certamente il più emblematico, che spiega i molti interessi in gioco in questo grande referendum mondiale su Internet. In questo caso, ad essere contrapposti sono due interessi: da un lato il denaro nelle casse degli Stati, derivante dalle tasse applicabili alle operazioni di telecomunicazione nazionalizzate; dall’altro, la libertà di circolazione delle idee in Rete.