I social media editor avranno dal mese di maggio un collega che sarà, virtualmente, sopra tutti loro. Simon Rogers, già giornalista esperto di editing online al quotidiano britannico Guardian, ha annunciato di aver accettato la proposta di Twitter per un incarico che non ha precedenti: data editor. Toccherà a lui dare un tocco umano alla gestione di migliaia di tweet al secondo, intuendo i flussi e le storie più interessanti.
L’annuncio (ovviamente con un cinguettìo) sta facendo molto parlare. Inevitabile andare con la memoria al social editor che si inventò il NYT per colmare le lacune di una sua inviata. Qui però il compito è molto diverso: a Rogers, che ha creato il datablog del Guardian nel 2009 e ha vinto numerosi premi dedicati alla sua professione, spetterà il compito di creare un rapporto più stretto fra utenti e informazione sulla base della sua capacità di raccogliere e distribuire i dati, le informazioni più importanti.
Announcement: after 15 amazing years I am leaving @Guardian to join the rather awesome @Twitter media team as its first Data Editor
— Simon Rogers (@smfrogers) April 18, 2013
Nel suo blog spiega egli stesso le ragioni che lo porteranno a San Francisco tra poche settimane:
Twitter è diventato un elemento molto importante nel nostro lavoro. È impossibile ignorarlo, è sempre al centro di ogni evento importante, dalla politica allo sport allo spettacolo. Come editor di dati, aiuterò a spiegare come funziona questo fenomeno. E non riesco a immaginare un lavoro migliore per arrivare a raccontare storie sulla base di alcuni dei dati più sorprendenti in giro per la rete.
Si tratta di una forma particolare di giornalismo aperto, che viene prima delle diverse forme con le quali si può declinare in Rete: il giornalista professionista, il free lance, il giornalismo partecipativo, quello causale e volontario (come visto nell’attentato di Boston), potranno guardare a Twitter come a un data base affidabile di dati aperti dai quali partire per una propria inchiesta.
Ancora non è noto in che modo, con quali piattaforme e strumenti – magari anche semplici hashtag, opppure applicazioni – ma quel che è certo è che si tenterà l’esperimento del cosiddetto telling data-driven più grande del mondo, differente (almeno stando alle sue parole) da Facebook Stories o dalle stesse storie di Twitter, per un elemento umano imprescindibile: Twitter non è sempre coerente con l’opinione pubblica, ha un suo carattere, per quanto pop, dov’è possibile scovare dati e giornalismo di qualità, ma dentro i flussi e non semplicemente seguendoli. Facoltà che nessun algoritmo possiede.