Distinguere un palcoscenico dalla vita reale, senza infastidire troppo Shakespeare, il quale pensava non ci fosse differenza molti secoli prima dell’invenzione di Internet, dello smartphone, dei social e delle applicazioni. All’Internet Festival quest’anno si è avvertita una certa sensibilità a proposito del rapporto tra la Rete e i minori (moltissimi gli studenti coinvolti nelle varie sezioni a loro dedicate), così sono stati invitati a parlarne Simone Cosimi e Alberto Rossetti, rispettivamente giornalista e psicanalista, autori di “Nasci, cresci e posta”, un saggio apprezzabile per almeno tre motivi: indaga un fenomeno invece di giudicarlo, quando lo giudica non lo fa dall’alto ma all’altezza stessa dei soggetti di cui parla, e soprattutto non è banalmente colpevolista o allarmista.
Intervistati da Giovanni Ziccardi – docente universitario di informatica giuridica e autore, peraltro, di un libro sull’hate speech, esperto di cyberbullismo – i due autori hanno sviluppato i temi decisamente interessanti di questo libro:
Nasci, cresci e posta ha una impostazione inedita fin qui nell’editoria italiana sul tema, preferendo da un lato ribadire la fragilità dei bambini come obiettivi del marketing delle società che sviluppano queste applicazioni di grande successo (da Musica.ly a Snapchat passando per altre piattaforme spesso sconosciute agli adulti), ma dall’altro non si censura certo nel parlare del comportamento degli adulti, degli interessi in gioco anche tra i privati che le usano, finendo per concentrarsi sull’aspetto meno raccontato di questi tempi: la salute del corpo e della mente dei bambini e degli adolescenti dentro questo cambiamento che non si può né si deve pensare di interrompere o discutere.
Lavori del genere non ce n’erano, un approccio, spiega Cosimi, a metà tra la cronaca giornalistica sull’evoluzione delle piattaforme e loro successo, e l’evoluzione dei bambini e loro interazione con la tecnologia. L’etica del racconto si mischia così all’etica della pedagogia e si prova a dare qualche istruzione per l’uso e qualche strumento per i genitori, ad esempio come accorgersi di eventuali problemi patologici del’uso dello smartphone nei bambini, considerando tre fasce d’età: 6-10 anni, 10-15 anni, e oltre i 16.
L’equilibrio del libro è quello che serviva per non cascare nei soliti cliché antitecnologici, condannati anche da Rossetti, che nella nostra intervista (video sopra) definisce «quelli che volevano tornare indietro». Indietro non si può tornare, andare avanti significa forse prendere atto di tre verità: i social sono già pieni di minori (anche under 13); gli adulti non sanno usare questi strumenti in modo più saggio; le società tech sviluppano velocemente applicazioni che devono conquistare mercato e praticamente sempre nello stesso modo, cioè “dimenticando” patch di sicurezza e policy di privacy adeguate, per poi colmare il gap una volta acquisita la massa di utenti sufficiente a stabilizzare la propria quota.
Queste dinamiche comportano la necessità di un lavoro di consapevolezza superiore, trangenerazionale. Un presidio dove non c’è, nel quale genitori e figli apprendano in condivisione, e che gli adulti, per quanto imperfetti, non rinuncino al loro ruolo di esempio. Meno parole, meno noiose lezioni sul cyberbullismo, più esempi. Inutile strapparsi le vesti per la Rete cattiva quando in pieno giorno fior di giornalisti e politici si comportano come autentici bulli: da chi mai prenderanno esempio i più piccoli?