Si tratta di una delle serie originali più interessanti disponibili su Netflix in queste settimane, nonché una delle più apprezzate in assoluto. E non è certo un caso. “13 Reason Why” è infatti un pugno nello stomaco fin dalla prima puntata e ha il merito di portare avanti il proprio messaggio fino alla fine con i tempi, la lucidità e la chiarezza di uno schiaffo. Al termine, pur se con troppi punti interrogativi in testa, si rimane con l’angoscia propria di Hannah Baker e Clay Jensen, dei genitori della ragazza e degli “amici” della scuola.
13 reason why: cos’è il bullismo?
Dietro a “13 Reason Why” non c’è una morale, né un approccio pedagogico con cui inculcare allo spettatore un messaggio con la forza. C’è, invece, una fotografia realistica e la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di realmente accaduto, con dettagli che si dipanano uno dopo l’altro lasciando ferite su ferite. Non c’è un vincitore e meno sconfitti di quanto non si potrebbe immaginare, e il tutto viene descritto con quel gusto amaro che solo un “così è la vita” può lasciarti addosso.
Tutto ruota attorno a questa domanda: cos’è il bullismo? Perché la storia raccontata da Netflix è quella di Hannah Baker, un’adolescente finita in un vortice dalla quale non è più riuscita a fuggire, fino a terminare i propri giorni sola e suicida. In questa breve disamina non ci saranno anticipazioni e il finale in suicidio non è certo una rivelazione: fin dalle prime scene il finale è chiaro, mentre tutto il resto della serie è lo sviluppo di quanto accaduto prima. La ragazza ha voluto raccontare la propria vicenda attraverso 13 audiocassette, tecnologia antiquata e romantica perfetta allo scopo perché «prima del www era tutto migliore». Ma nonostante questa dichiarazione di intenti, la serie ha un merito: usare le nuove tecnologie in ogni singolo aspetto della vicenda senza tuttavia mai puntarvi il dito. Una accusa matura, insomma, circa il ruolo della tecnologia nelle relazioni sociali di oggi, potenziali megafoni di tutto quanto accade senza mai cadere nella strumentalizzazione del device e nella deresponsabilizzazione della persona. La tecnologia, banalmente, è uno strumento: elemento tanto banale quanto rivoluzionario, visto che troppo spesso guardare il dito invece che la luna diventa sport nazionale al primo inquietante fatto di cronaca.
Il ruolo della tecnologia
Grazie a questa capacità narrativa, la serie riesce meglio di altri tentativi a raccontare la dimensione del bullismo nella sfera adolescenziale di una scuola. Quel che emerge è una fotografia in divenire di una situazione nella quale i tasselli cadono uno dopo l’altro in un domino ansiogeno. Il bullismo viene ad essere non causa, ma concausa: nei rapporti sfilacciati, nella conquista di una posizione sociale e nell’assoggettamento dei più deboli viene a maturare un contesto nel quale tutti sono alla fin fine avulsi da una vera struttura sociale in grado di coinvolgere invece che di escludere. Competitività e ricerca dell’età adulta, conquiste di posizioni di controllo, ricerca di un proprio ruolo e di un proprio significato: in questa gara continua c’è chi vorrebbe fermarsi, chi vorrebbe rallentare, chi vorrebbe semplicemente uscire dalla gara. Hannah, colei che da queste situazioni ne esce a pezzi, sarà il tassello che cadrà portandosi appresso tutto il resto. Il bullismo è il contesto che sgretola le emozioni della ragazza (e non solo): quando arriva la goccia che fa traboccare il vaso, tutto crolla.
Inoltre il bullismo non è un moto proprio, nonché un fatto singolo, non è una responsabilità puntuale: ognuno dei ragazzi che hanno condiviso parte della “colpa” ha a modo proprio un sostrato da cui è cresciuto: educazioni troppo rigide o troppo lascive, famiglie distrutte alle spalle o situazioni complesse pregresse, fragilità interiori manifeste. Ognuno alla fin fine ha una propria fragilità che porta ad uno sbaglio, ma c’è chi ne fa tesoro e chi invece la trasforma in un modo di vivere e di lottare. Ed è in questa evoluzione che matura la dinamica di gruppo che, per tutelare i propri equilibri, esclude gli altri e li assoggetta ai propri bisogni. Nessuno è immune e nessuno deve sentirsene al di fuori. Quand’anche una morale più rigida e un’etica più matura possono far pensare che si possa guardare l’orizzonte a testa alta, il desiderio di rivalsa o la pulsione della vendetta possono trarre in fallo.
Gli smartphone, le fotografie, il giornalino di classe, le chat: ognuno di questi strumenti è diventato letale nelle mani della persona sbagliata nel momento sbagliato. Non c’è dunque una condanna della tecnologia, ma il ritratto di una fragilità che, mischiata all’inconsapevolezza, diventa arma che ferisce. Sono ferite interiori che non smettono di sanguinare e che giorno dopo giorno indeboliscono, portando all’interno di una spirale dalla quale non tutti hanno la forza di uscirne. Hannah Baker, ad esempio, non ne uscirà. Ma non lo farà in modo silente e “13 Reason Why” è il racconto che lascia ai posteri, ai genitori, ai compagni e a quel mondo che non l’ha mai ascoltata davvero.
“13 Reason Why” è un racconto non immune da difetti, momenti di calo narrativo e altre debolezze, ma ha in sé la forza di una storia raccontata con equilibrio e con grande incisività. La presenza di alcune scene particolarmente crude lo rende purtroppo adatto solo a ragazzi di età più matura (è vietato ai minori di 14 anni), ma svolge comunque il proprio ruolo: perché il bullo non è fuori dalla società, ma è espressione della società stessa. Ognuno può fare qualcosa contro il bullismo nel momento stesso in cui comprende che è soltanto l’effetto collaterale di dinamiche sociali troppo tese, troppo incentrate sul singolo, poco propense alla costruzione di rapporti saldi e raramente disponibili all’ascolto. Il bullo non è un altro, ma è solo la concretizzazione di una parte di ognuno di noi.
Jessica Davis, Alex Standall, Justin Foley, e poi Zach, Tyler, Bryce: nessuno può sentirsi realmente escluso dalla storia “13 Reason Why” e ognuno potrà probabilmente vedere parte di sé in uno dei ragazzi coinvolti. Ognuno ha un lato della cassetta che lo riguarda. Per questo bisogna ascoltarle tutte, fino alla fine.