Quel che vogliamo fare per una settimana è celebrare l’innovazione. Vogliamo celebrarne l’accezione più generale, tutta la sua immensa semantica, il suo valore più nobile. Lo vogliamo fare in occasione di un anniversario che, a 100 anni di distanza da quel 25 novembre 1915, ancora è fonte di enorme ispirazione. Lo vogliamo fare nel momento in cui la Teoria della Relatività Generale compie il suo primo secolo. Un secolo riempito di icone: la linguaccia di Einstein, la sua formula “magica” E=mc², il capello bianco e scombinato, lo sguardo profondo e disilluso. Un secolo fortemente plasmato da quel giorno, come se la scoperta avesse avuto una massa talmente ampia da plasmare lo spazio attorno a sé. Vogliamo in qualche modo tornare a quel lontano 25 novembre, a quei momenti in cui una nuova verità veniva svelata sovvertendo tutto quello che era il filtro interpretativo antecedente. Il mondo di Newton sfumava, iniziava una nuova era.
Vogliamo celebrare il nostro dedicato #thankseinstein convinti che nasca dalla meraviglia per l’ispirazione. E che la meraviglia per l’ispirazione sia un nutrimento fondamentale in tutte le epoche.
In poche ore il modo di vedere la realtà era cambiato. Profondamente. Ordini costituiti stavano per essere ribaltati poiché, semplicemente, errati. O quantomeno parziali, poiché basati su assunti che spiegavano la realtà percepita, ma non ne spiegavano la reale natura. Un modello si sostituiva ad un altro. Mai come in quelle ore l’innovazione si imponeva sulla storia. Elevando addirittura il proprio rango: l’accelerazione impressa è stata talmente vorticosa che le sue conseguenze si estendono ancora direttamente sui giorni nostri. E la portata è stata tale da andare ben oltre la sola scienza: la musica, la letteratura, la politica, la filosofia. Tutto è cambiato, a partire da un semplice E=mc².
Vogliamo celebrare l’innovazione
Ecco perché Webnews vuole celebrare l’innovazione. Perché l’anniversario non è soltanto una ricorrenza o un modo per ricordare, ma è anche un modo per rivivere quello spirito e trarne ispirazione. La Teoria Generale della Relatività è un simbolo che sprigiona energia, forza, luce. Tanto da rimanerne abbagliati ad un primo impatto, ma utile a rischiarare tutto il resto e portare l’uomo oltre i suoi limiti antecedenti.
Un uomo chiuso dentro l’Ufficio Brevetti per il quale lavorava, guardando fuori dalla finestra immaginava mondi lontani e riusciva a vederli al di là di quel che la scienza aveva fino a quel punto delineato. Sognava di cavalcare un fascio di luce e si chiedeva cosa avrebbe visto attorno a sé. I modelli matematici utilizzati servirono per tradurre in termini fisici quel che l’immaginazione aveva intuito, portando infine alla formulazione di una teoria che avrebbe cambiato tutto.
Se l’importanza delle teorie di Einstein è indiscutibile, altrettanto indiscutibile è la loro forza semantica, il loro farsi carico di una simbologia di grandissimo potenziale. A 100 anni di distanza quella storia è ancora metafora pura di innovazione, esempio per i giovani, stimolo per la ricerca, pungolo per la sete di conoscenza. Quel giorno ha istituzionalizzato l’innovazione e celebrato l’accelerazione. Quel giorno è nato un nuovo modo di concepire i cambiamenti e la percezione degli stessi.
Innovazione come modus operandi
Oggi vogliamo celebrare l’innovazione come modus operandi, come meccanismo a cui appigliarsi. Nei giorni passati Satya Nadella lo ha ricordato al pubblico di Roma: oggi il mercato (ma non solo il mercato) non rispetta la tradizione, ma solo l’innovazione. E se questo punto di vista può apparire come una sorta di forzatura, è al tempo stesso l’accettazione di un dato di fatto: l’accelerazione è ormai strutturale, fa parte dell’incedere di un mondo nel quale per la prima volta gli strumenti diventano mezzi in grado di esprimere e moltiplicare le capacità umane con tanta rapidità da rendere chiaro e percettibile il continuo progredire.
L’innovazione non è più soltanto accelerazione, dunque, ma è anche il nuovo metro su cui misurare le cose dell’uomo. Non senza delusioni, poiché la parola “progresso” è troppo spesso smentita a livello sociale. Ma anche su questo Einstein aveva una teoria tutta sua: la fiducia per l’umanità nasceva dall’amore per l’umanità stessa e dalla convinzione per cui, sull’orlo del baratro, si sarebbe trovato il modo di unire gli intenti e fare un passo indietro. La fiducia nella scienza non era in discussione e presto Einstein dovette fare i conti anche con l’etica e la politica: le sue scoperte dovettero confrontarsi con la seconda Guerra Mondiale e con le bombe atomiche. E non fu facile per lo scienziato allineare la visione scientifica a quella etica, poiché la politica le aveva rese divergenti.
Innovazione come filosofia
Alla luce di quanto accaduto quel 25 novembre 1915, oggi vogliamo celebrare l’innovazione come filosofia, ossia come vero e proprio imprinting della mente: oggi l’innovazione non è soltanto accelerazione e scienza, ma è anzitutto una struttura su cui costruire un mondo che non può più fare a meno di strappi continui e forti verso il futuro. Viene dunque ad aver senso il pensare all’innovazione non solo come processo, ma come vera e propria “filosofia”, poiché l’innovazione si fa oggi carico di pensieri e principi elevandosi di rango. Quel che era strumento si è fatto fine. E in qualche modo quel che era massa si è fatta energia.
L’innovazione diventa filosofia nel momento in cui da modo di fare si tramuta in modo di essere. Oggi la filosofia dell’innovazione è un modo di vivere e di comportarsi, prevede l’accettazione di un cambiamento continuo e di una necessaria adattabilità a contesti che mutano senza pause. L’accelerazione imposta dai mercati, dalla tecnologia e dalla scienza ha spostato il baricentro delle priorità dal sapere all’imparare. Non senza problemi e disallineamenti, ma in una inevitabile direzione tracciata inconsapevolmente proprio da Einstein.
Innovazione come consapevolezza
Ma proprio come la massa può farsi energia (e viceversa), e come un modus operandi possa farsi filosofia (e viceversa), al tempo stesso l’innovazione ha il dovere di farsi tradizione (e viceversa). Un incontro tra poli che si attraggono, trovandosi a metà in una concezione più olistica del tutto. Chiamiamola consapevolezza. La consapevolezza come fine, come punto di arrivo, come obiettivo. La consapevolezza come entità alta, come addensamento di sapere e come capacità di messa in atto. La consapevolezza come materia prima dell’innovazione, come controllo da opporre alla velocità, come velocità da opporre all’inerzia. La consapevolezza come scelta programmatica, come virtù da incarnare, come punto supremo nel quale l’innovazione sublima a metà tra l’individuale e il sociale. La consapevolezza come valore alto, come tassello fondamentale e paradigma ultimo con il quale rapportare la realtà umana alla realtà universale.
Lo stesso Einstein nel suo enunciare la propria teoria volge uno sguardo rispettoso al passato considerandolo la base del proprio lavoro e meritevole di grande rispetto:
Nessuno deve pensare che la grande creazione di Newton possa realmente essere sostituita da questa teoria o da una consimile. Le sue idee grandi e chiare conserveranno sempre in avvenire la loro importanza eminente, ed è su di esse che fondiamo ogni nostra speculazione moderna sulla natura del mondo.
L’innovazione per Einstein non era “distruzione” di un modello in favore di uno nuovo e successivo: la sua concezione era legata al ribaltamento delle regole, ma in virtù di una loro semplice evoluzione. Il futuro era lineare con il passato e non c’era rottura, mai. Il suo rispetto per Newton, del quale sovvertiva gli ordini, era totale. Un insegnamento umano, prima ancora che scientifico.
Innovazione come prospettiva
Per molti versi l’aver metabolizzato il concetto e gli effetti dell’innovazione, maturando il tutto in piena consapevolezza, consentirebbe all’uomo di guardare alle cose del mondo con una prospettiva in più. Come aggiungendo profondità ad un quadro bidimensionale (o come aggiungendo il tempo ad un quadro tridimensionale), uno sguardo prospettico consentirebbe di avere una visione molto più completa e astratta, scollegata dalla realtà per consentire proiezioni migliori. La storia è quel che deve insegnare all’uomo i ritmi, i tempi, le controindicazioni e le distorsioni che i grandi strappi sono capaci di creare. L’innovazione potrà così essere guidata, in qualche modo prevista, ma tenuta comunque sotto controllo. Purché l’uomo impari a elevare se stesso, aggiungendo prospettiva al proprio sguardo sul futuro.
Questo vogliamo celebrare nei giorni che ci portano al 25 novembre 2015: l’innovazione come entità. L’innovazione come dinamismo. L’innovazione come ispirazione. L’innovazione in quanto tale, depurata di ogni strumentalizzazione. E la identifichiamo simbolicamente in quell’Eureka, in quell’illuminazione che il 25 novembre 1915 deve aver aperto gli occhi all’Accademia Prussiana delle Scienze. E al mondo intero.