Terrorismo: Internet sorvegliata speciale

Dopo gli attentati contro le Twin Towers, molti vedono in Internet un elemento pericoloso e destabilizzante. Negli Usa scattano i controlli sulle comunicazioni; e qualcuno parla di attivarli anche in Italia.
Terrorismo: Internet sorvegliata speciale
Dopo gli attentati contro le Twin Towers, molti vedono in Internet un elemento pericoloso e destabilizzante. Negli Usa scattano i controlli sulle comunicazioni; e qualcuno parla di attivarli anche in Italia.

Gli attentati che hanno colpito New York e Washington l’11
settembre 2001 hanno dato il via a quella che è stata definita la prima guerra
del Terzo millennio; la prima guerra secondo molti, ad essere combattuta anche tramite
Internet. Da qui la tentazione di impedire o, quantomeno, controllare le
comunicazioni che avvengono in Rete. Una tentazione che, nei giorni scorsi, si
è fatta legge negli Stati Uniti. E che potrebbe presto trovare asilo anche in
Italia.

Il 13 settembre, due giorni dopo gli attentati, il Senato
degli Stati Uniti ha approvato il “Combacting
Terrorism Act of 2001
”, una legge speciale promossa dal repubblicano Orrin
Hatch e dalla democratica Dianne Feistein. Il provvedimento prevede che ogni procuratore
possa ordinare l’installazione di Carnivore presso i provider. Carnivore
è un sistema messo a punto dall’FBI, in grado di monitorare le comunicazioni
elettroniche che avvengono nella rete di un dato Internet service provider
(ISP).

Il Combacting Terrorism Act è stato approvato
all’unanimità. Non per questo ha mancato di suscitare polemiche tra i politici,
i giornalisti, gli esperti di sicurezza e di nuove tecnologie e le
organizzazioni dei consumatori statunitensi. La legge permette infatti, in caso
di grave pericolo nazionale, di mettere sotto sorveglianza per 48 ore le
comunicazioni su Internet senza l’autorizzazione di un giudice. A subire
i controlli possono essere le URL visitate, i nomi e gli indirizzi dei propri
corrispondenti di posta elettronica, e così via.

Secondo molti, il provvedimento non serve soltanto a
combattere il terrorismo, ma può anche arrivare a mettere in serio pericolo la privacy
dei navigatori. Il sito Wired.com ha
riportato voci vicine alla Commissione Giustizia del Senato secondo le quali la
legge è scritta in termini talmente vaghi da non rendere chiari i fini dei suoi
promotori. E d’altra parte, come dichiara il programmatore Rob Carlson, «non
c’è niente di più duraturo delle restrizioni temporanee».

È proprio questo il timore che serpeggia, in maniera
neanche tanto velata, tra le personalità più attente alla difesa delle libertà
civili negli Stati Uniti e in tutto l’Occidente: che, sull’onda dell’emozione
per la tragedia di New York, si autorizzi un accantonamento delle libertà
conquistate in oltre due secoli di lotte e rivendicazioni; e che tale
accantonamento duri poi ben oltre il periodo dell’emergenza.

Sono state molto chiare, in proposito, le parole di Vint
Cerf
, uno dei padri putativi di Internet: «Il prezzo del libero fluire
[dell’informazione, ndr] può essere un’informazione che non ci piace o a
cui non crediamo, ma l’antidoto contro la disinformazione è aumentare le
informazioni, non diminuirle». Si è spinto anche oltre John P. Barrow,
vicepresidente della Electronic Frontier Foundation
(EFF), forse la più importante organizzazione per la tutela della libertà su
Internet; Barrow è arrivato a paragonare l’attacco al World Trade Center all’incendio
del Reichstag di Berlino, nel 1933, che permise l’avvento al potere dei
nazisti.

È noto che Usama Bin Laden, il principale indiziato
come mandante degli attentati dell’11 settembre, abbia usato in passato
tecnologie per il criptaggio delle comunicazioni. Si è ipotizzato che gli
attentatori dell’11 settembre, per organizzarsi senza essere scoperti, possano
aver utilizzato la steganografia (una tecnica che permette di nascondere
messaggi tra i pixel delle immagini digitali) o qualche sistema che abbia reso
anonimi i mittenti delle comunicazioni. E così la criptografia, che fino all’11
settembre veniva considerata una tecnica con alcuni contro e molti pro
(ricordiamo che l’Unione Europea l’aveva recentemente consigliata alle aziende
come misura cautelativa nei confronti di Echelon), è diventata
improvvisamente un’arma subdola, incontrollabile e destabilizzante.

Come era prevedibile, la diffidenza nei confronti dei
sistemi di criptaggio delle informazioni ha attraversato l’oceano e ha
raggiunto anche il nostro paese, traducendosi in breve in sospetto nei
confronti dell’intera Rete. Il Commissario dell’Authority
per le Telecomunicazioni
, Alessandro Luciano, ha dichiarato durante
un seminario dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo in
Europa), che «l’accesso anonimo e l’uso di Internet possono seriamente impedire
la possibilità di arrestare alcuni criminali,» aggiungendo che «la necessità di
restrizione di alcuni diritti e libertà fondamentali, propriamente
giustificata e proporzionata in relazione a obiettivi di pubblica sicurezza,
deve essere applicata anche al cyberspazio».

Parole, queste, che andrebbero valutate attentamente,
anche in considerazione del fatto che in Italia non è ancora accaduto nulla che
le giustifichi. D’altronde anche negli Usa, drammaticamente colpiti dal
terrorismo, molti fanno notare che vietare i sistemi di criptaggio potrebbe non
essere la risposta adatta; e in sostegno di questa teoria citano il caso
delle bombe contro le ambasciate statunitensi in Africa: anche in quel caso i
terroristi avevano utilizzato la criptografia, ma alcune rilevazioni sul
traffico ed il volume dei messaggi avevano fornito preziose prove utilizzate in
seguito in tribunale. Inoltre, la criptografia resta un servizio fondamentale
per il commercio elettronico, e la sua messa al bando potrebbe produrre
seri danni economici.

Resta un fatto: come ha scritto Robert M. Rubin su InformationWeek, «quando il
desiderio di tutelare i diritti dell’individuo si scontra con la convinzione
comune di essere troppo vulnerabili al terrorismo, il risultato è sempre lo
stesso: i più scelgono la sicurezza». Eppure la forza di una democrazia si
misura proprio in base alla sua capacità di tutelare la libertà dei
propri cittadini contro ogni minaccia. Il rischio è uno, e non è da poco: che l’accantonamento
delle libertà individuali faccia il gioco dei terroristi, invece di
indebolirli.

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