A giugno del 2000, quando il giudice Thomas P. Jackson
stabilì che, per il bene dei consumatori e del mercato, Microsoft doveva essere
divisa in due distinte società, la stella di Bill Gates sembrava in calo
inarrestabile, sfiancata da nemici sempre più agguerriti sia nelle istituzioni
che sul mercato. Ma è bastato che il fronte anti Microsoft abbassasse un attimo
la guardia, fornendo il destro al contrattacco, perché Bill Gates riuscisse ad
assestare un uno‑due che lo ha riportato prepotentemente al centro della
scena e ha fatto barcollare l’avversario stordito.
Un giudice federale ha appena approvato l’accordo raggiunto un anno fa
tra Microsoft ed il Dipartimento di Giustizia statunitense per porre fine al procedimento
antitrust avviato nel 1998 contro il colosso di Redmond. Con l’accordo, il
Dipartimento di Giustizia aveva
rinunciato alla richiesta di smembramento di Microsoft; Bill Gates e soci,
dal canto loro, avevano accettato alcuni vincoli che avrebbero dovuto
introdurre una concorrenza effettiva nel settore dei sistemi operativi e
delle applicazioni per personal computer: in particolare, Microsoft avrebbe
dovuto evitare accordi esclusivi che danneggiassero i competitori, fornire gli
stessi tipi di condizioni commerciali a tutti i produttori, autorizzare
produttori e consumatori a rimuovere a piacimento le icone da alcune
applicazioni e rilasciare parti dei codici sorgente per consentire ai
competitori di realizzare software compatibili con i suoi sistemi.
Si trattava di un accordo estremamente vantaggioso per
Microsoft, specie se confrontato con la prima sentenza del giudice Jackson: il
magistrato aveva stabilito che l’azienda di Redmond fosse divisa in due
parti indipendenti, una dedicata ai sistemi operativi, l’altra ai software
di navigazione, così da evitare l’inglobamento del browser Explorer all’interno
di Windows. La sentenza del giudice Jackson è stata azzerata dopo che questi
ha imprudentemente rilasciato ad alcuni giornali interviste nelle quali
esprimeva giudizi poco lusinghieri nei confronti di Gates e della sua azienda,
il che ha indotto il tribunale di appello a dubitare della sua imparzialità e a
chiedere che fosse un nuovo giudice a riesaminare il caso.
La scelta (operata estraendo casualmente un nominativo tra
dieci candidati) è caduta su Colleen Kollar‑Kotelly, magistrato
del tutto nuovo a cause antitrust che, a differenza del proprio predecessore,
ha tentato di mantenere un atteggiamento il più possibile distaccato nei
confronti delle parti. Un atteggiamento testimoniato anche dalla sentenza di venerdì:
pur rigettando le richieste dei nove stati USA che si erano ribellati all’accordo,
il giudice ha messo in guardia Microsoft dichiarando che la società ha «una
certa tendenza a minimizzare gli effetti della sua condotta illegale» e che i
suoi dirigenti saranno ritenuti direttamente responsabili per ogni ostacolo
posto alla effettiva applicazione dell’accordo.
Ciò nonostante, gli analisti hanno osservato come di fatto la
sentenza introduca poche novità nel mercato, dal momento che gli obblighi per
Microsoft sono facilmente aggirabili e comunque né i produttori di PC,
né i consumatori si sono mostrati finora particolarmente desiderosi di sostituire
di propria volontà i software Microsoft con quelli concorrenti. Il consigliere
generale di AOL Time Warner, Paul Cappuccio, ha dichiarato che la sentenza del
giudice ha reso semplicemente «più forte un accordo debole». Sun Microsystems
ha esortato i nove stati “ribelli” a ricorrere in appello. Gli altri
concorrenti di Microsoft hanno preferito non commentare.
E questo è il segno più evidente della nuova forza di
Bill Gates. Solo un ostacolo separa ora il grande capo di Microsoft dal
definitivo trionfo: il procedimento
antitrust avviato dalla Commissione Europea. Il commissario alla
Concorrenza Mario Monti dovrebbe emettere la sua sentenza entro la fine dell’anno.
Microsoft spera che la decisione del giudice Kollar‑Kotelly faccia
scuola.