Come per GMail e come per tutte le grandi novità che vanno a sconquassare le placide acque di un mercato in sostanziale equilibrio dinamico, la notizia dell’ufficializzazione dell’approdo sul mercato azionario di Google ha dapprima creato entusiasmi, per poi raffreddarsi fino a lasciar emergere i primi dubbi. L’unica sfumatura realmente tangibile è la curiosità: poche certezze e attesa febbrile si sovrappongono ed in molti attendono le prime quotazioni ufficiali rilasciando alchemiche previsioni e velate sensazioni.
Un primo approccio è quello entusiastico. In molti hanno preferito approdare a questa conclusione dopo aver valutato la grande resa e gli ampi margini di crescita del gruppo Google: entrare a far parte in qualche modo della proprietà è considerato un’occasione da cogliere al volo. E’ come salire sul carro dei vincitori, con in aggiunta la certezza di dati che fotografano una situazione assolutamente rosea. Alcune testate editoriali statunitensi vedono nel 2004 «l’anno di Google», identificando con l’IPO una sorta di colpo da KO che il motore potrebbe infliggere alla concorrenza.
L’approccio entusiastico si spegne nei meccanismi dell’analisi. Se non con i numeri, è sufficiente una superficiale analisi retrospettiva per far tornare a galla un recente passato che ha già pesantemente punito gli eccessivi entusiasmi. «Google ha la capacità di essere il tipo di compagnia di cui la gente dice voglio comprarla, non mi importa quale sia il prezzo»: così Michael Boone della MWBoone & Associates.
Evidente e diretto, dunque, il riferimento alla bolla che esplose a fine anni ’90 lasciando sul campo i cocci di molti investimenti privi di base finanziaria concreta. Sulla stessa scia si colloca l’analista Lew Altfest, secondo cui la quotazione iniziale potrebbe essere eccessivamente alta e lievitata semplicemente a causa degli eccessivi entusiasmi che rappresentano l’aura del marchio Google.
Lo scetticismo deraglia non raramente dai binari dell’analisi economico/finanziaria: da non poche fonti è possibile apprendere un atteggiamento negativo nei confronti dell’etica espressa dalla lettera di Larry Page e dall’approccio “non canonico” che l’azienda vuole avere con il mercato. Le stesse firme intravvedono dunque un’abile mossa promozionale in tutto ciò, ma prevedono per Google un percorso del tutto identico ad ogni altra azienda costretta a relazionarsi con l’utenza tramite i dati quadrimestrali di bilancio e di previsione.
Vi è infine un approccio che ha sì tendenze entusiastiche, ma con una certa prudenza sillogistica aggiuntiva. Secondo molti analisti, infatti, l’avventura di Google può essere un toccasana non solo per il gruppo (che con l’IPO può accumulare imponenti capitali da reinvestire ai danni della concorrenza), ma può portare altresì ampi benefici anche per l’intera economia. Un buon esito dell’operazione potrà incoraggiare un ritorno agli investimenti in quella “new economy” vista con molti sospetti negli ultimi anni, e ciò può sfociare in altre iniziative similari di altri gruppi. La spirale economica, insomma, potrebbe trovare l’input giusto per invertire la tendenza degli ultimi mesi.