Dopo anni di polemiche e casi giudiziari, per la prima volta viene seriamente posta la possibilità di una modifica al Digital Millennium Copyright Act (DMCA, legge americana in tutela del Copyright). L’emendamento prende il nome di Digital Media Consumers’ Rights Act 2003, è stata avanzata da firme del mondo dell’editoria e della tecnologia, ma trova già forti riserve provenienti dal mondo dell’industria dell’intrattenimento.
Secondo Jack Valenti, massimo rappresentante della MPAA (Motion Picture Association of America), «il provvedimento legalizza l’hack». Le minori restrizioni cambierebbero radicalmente l’andamento di alcune vicende giudiziarie in corso (vedi il caso del DeCSS o di PlayFair) e la copia di prodotti originali sarebbe vincolata da regolamenti molto meno serrati.
In particolare la normativa (proposta già due anni or sono dal democratico Rick Boucher e dal Repubblicano John Doolittle) avanza l’idea di ripristinare il cosiddetto “Fair use“, ovvero l’uso gratuito di prodotti protetti da copyright circoscritto a particolari ambiti quali ad esempio la cronaca, il commento, l’erudizione, la ricerca scientifica e più in generale lo scambio senza fini di lucro (l’occhiolino strizzato al P2P non è troppo indiretto). La vendita di CD piratati rimarrebbe sempre e comunque un reato.
Il principio del “Fair use” risulta essere il cuore pulsante dell’emendamento proposto. Già nel 2002 Rick Boucker criticava la DMCA americana evidenziando: «il Congresso ha garantito diritti senza precedenti ai detentori di diritti d’autore. E la situazione è addirittura peggiorata con l’introduzione di CD audio con protezione anticopia». Il “nuovo” principio (traducibile nell’italiano “buon uso” sematicamente proiettato alle intenzioni dell’uso delle tecnologie in esame, non è in realtà nuovo ma risulta essere stato affossato dalle interpretazioni che vi si sono stratificate nel tempo) estende le prospettive finora attuate e pone in notevole difficoltà le aziende che fanno del copyright il proprio core business.