Dopo un lungo braccio di ferro combattuto sul tavolo della battaglia giudiziaria, l’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) si è vista riconoscere le ragioni nella vicenda che la opponeva a VeriSign, l’azienda che ha in gestione l’intero sistema dei domini .com e .net.
I fatti risalgono al 2003: VeriSign, con una decisione quantomeno inattesa, reindirizza improvvisamente tutti i domini non registrati ad una sorta di motore di ricerca Site Finder. L’azienda si giustifica: la mossa serve a indirizzare traffico “sprecato” verso una meta che possa aiutare l’utente nella ricerca di quanto non trovato digitando l’url. La mossa è però immediatamente etichettata per ciò che si rivela essere, ovvero una semplice astuzia per indirizzare grandi quantità di traffico verso un servizio, a svantaggio del mercato dell’intero settore concorrente.
Scatta la diffida: l’ICANN, che gestisce formalmente i domini generici di primo livello, lancia un ultimatum entro il quale la situazione va riportata alla normalità. In tutta risposta VeriSign inoltra le pratiche legali accusando l’ICANN di assoluta tracotanza gestionale: l’abuso di potere dell’associazione è giudicato intollerabile e viene anche rifiutata la richiesta di una temporanea sospensione del reindirizzamento.
Monta sul web la protesta: Popular Enterprises, azienda titolare del motore di ricerca Netster.com, intraprende le vie legali contro VeriSign; la stampa giudica negativamente il tutto sottolineando il possibile danno alla Rete conseguente da una eventuale vittoria dell’accusa; alcuni provider bloccano il redirect a SiteFinder giudicando «disonesto» il sistema congegnato da Verisign.
La sentenza non lascia adito ad interpretazioni: ogni capo d’accusa cade, e in 16 paginate di argomentazioni il giudice A. Howard Matz da ragione alla difesa di Joe Sims e Jeffrey LeVee. Una circostanza attenuante lima però la sentenza: VeriSign ha diritto a riformulare l’accusa per ripresentarsi innanzi alle istituzioni giudiziarie a difendere le proprie tesi.