La Warner Music ha una forte tentazione: acquistare la rivale EMI. La conferma giunge da comunicazioni ufficiali della stessa EMI in cui si ribadisce l’avvenuto approccio, ma all’interno delle quali non viene suggerito nessuno sviluppo ulteriore. EMI, semplicemente, conferma il contatto e spiega che ogni decisione verrà presa solo dopo aver valutato ogni singolo elemento ed ogni singola opportunità, tanto nel rimanere da soli, quanto nell’acconsentire alla fusione.
Per entrambi i gruppi trattasi di un momento difficile, ma per EMI gli ultimi mesi sono stati all’insegna di risultati particolarmente deludenti tanto da portare il titolo ad un calo fino al 20%. Appena si è manifestata la possibilità di una fusione (senza ancora, comunque, una specifica offerta economica sul piatto), invece, le azioni hanno immediatamente recuperato poco più del 7% ed ora il management sarà giocoforza costretto a tenere in ferma considerazione una ipotesi tanto apprezzata dagli investitori. I motivi del declino sono di difficile lettura, ma argomentabili soprattutto in una duplice concausa: da una parte una crescente pirateria, dall’altra una forte pressione esercitata dalla musica digitale con tanto di effetti collaterali dalle pesanti ricadute.
Inevitabilmente l’incontro tra le parti impone una rilettura degli ultimi eventi legati alle opinioni espresse in tema di Digital Right Management. EMI, infatti, sulla scia dei deludenti risultati ottenuti sul mercato, ha iniziato a spingere per l’ipotesi estrema del DRM-free, ipotesi già cavalcata da Yahoo, già ipotizzata da Steve Jobs e, soprattutto, pesantemente osteggiata dalle altre case discografiche (Warner Music compresa: «completamente senza logica nè merito», così il CEO Edgar Bronfman a commento della lettera aperta di Jobs contro il DRM).
Alla luce dei fatti, l’operazione potrebbe avere significati reconditi che in precedenza sfuggivano all’analisi del contesto. EMI potrebbe aver messo in discussione un certo modello di business e Warner, ad esempio, potrebbe ora cercare la fusione proprio per annichilire queste pericolose ventate rivoluzionarie. Più concretamente la fusione porterebbe ad un taglio dei costi e ad economie di scala utili in tempo di vacche magre. Le ipotesi si fermano però all’ombra delle dichiarazioni ufficiali provenienti da EMI secondo cui nessuna concreta offerta sarebbe ancora stata portata avanti.
Non solo. Come sottolinea Reuters: «un’eventuale offerta potrebbe comunque scontrarsi con gli stessi problemi regolatori emersi nei precedenti tentativi. Un anno fa lo stallo sulla proposta reciproca da 4,6 miliardi di dollari venne risolto in giugno quando una corte europea annullò l’approvazione del merger tra Sony e Bmg». Il caso Sony dovrebbe trovare soluzione definitiva nei prossimi giorni, probabilmente aprendo così la strada alle trattative del polo opposto.