Se addirittura la Securities and Exchange Commission ha dovuto intervenire, significa che il caso è tutt’altro che insignificante: l’organismo di controllo della borsa USA ha infatti preso provvedimenti bloccando la quotazione di 35 diverse compagnie in attesa di avere informazioni precise relativamente alle attività ed allo stato di salute delle compagnie stesse. Il blocco durerà 10 giorni, in attesa che vengano effettuate le indagini necessarie.
Il problema è relativo a tutta una serie di informazioni fasulle fatte circolare via mail e relative ad informazioni commerciali e finanziarie delle aziende coinvolte. Tali informazioni erano in grado di generare precisi contraccolpi sulla quotazione in borsa ed i malintenzionati ne approfittavano per operazioni «pump-and-dump»: comprare azioni “dormienti”, gonfiarne artificiosamente la quotazione tramite la creazione di false mirabolanti aspettative, vendere prima di interrompere la somministrazione dei messaggi.
L’operazione “Spamalot” ha identificato un traffico di spam pari a 100 milioni di invii ogni settimana. Per gli autori della truffa i guadagni sarebbero stati di 732.941 dollari, generando parallelamente gravi danni per investitori, broker e per l’affidabilità dell’investimento azionario in generale. A tutto ciò va sommato il danno relativo all’ingente quantità di spam prodotta, a danno di quanti hanno dovuto ricevere, filtrare e cancellare questo tipo di messaggi.
Nel 2006 ben 600 stock sarebbero stati coinvolti nelle informative inviate dagli spammer ad ignare vittime. PC World segnala ad esempio il caso Apparel Manufacturing Associates, la cui quotazione è passata da 0.06 dollari in data 15 Dicembre a 0.19 dollari 3 giorni dopo, arrivando fino a 0.45 in data 21 Dicembre. Termina l’effetto dopante dello spam (con scambi che si sono moltiplicati giorno dopo giorno sulla promessa di un rapido raggiungimento di quota 1 dollaro di quotazione) e la valutazione in borsa crolla nuovamente a 0.10 già in data 27 Dicembre. Nel frattempo l’effetto «pump-and-dump» ha portato grandi flussi di denaro presso anonimi spammer ai quali ora la SEC ha inviato un chiaro messaggio di sfida.
Già a metà 2006 il problema si rese evidente con stock azionari in grado di vedere il proprio valore moltiplicato del 500% nel brevissimo periodo. Sophos già allora spiegò come ben il 15% dell’intero volume dello spam mondiale aveva il preciso scopo di rilasciare false informazioni finanziarie (un sistema particolarmente mirato ed efficiente per monetizzare una truffa via posta elettronica), il che sottolinea ancora una volta l’elevato grado di professionismo che gli spammer hanno raggiunto. Il problema passa ora dai pc alle sale dell’alta finanza e la SEC si vede costretta ad intervenire onde evitare ulteriori salassi.