Non sono un esperto di Guerrilla Marketing, ma sono sicuro che Jay Conrad Levinson, quando ha coniato questo termine, pensava a qualcosa di diverso da ciò che si vede in giro ora.
Uno dei presupposti di tali operazioni (sia offline che online) è quello di attirare l’attenzione in modo non convenzionale, collegando un piacevole impatto emotivo al brand che si sta pubblicizzando.
E quindi ci sono stati i vari post it, adesivi a terra, scritte sugli specchi dei bagni pubblici, etc…
Ma cosa succede quando poi queste campagne si ripetono in formati simili?
Si passa semplicemente dal Guerrilla Marketing alla… Guerrilla Noia!
In una comunicazione pubblicitaria di tipo convenzionale diamo una enorme importanza al contenuto (es. sappiamo cosa è un banner, quindi, invece di dire «wow che bello! Un rettangolino nella pagina!», l’attenzione va direttamente al succo).
Nelle operazioni di guerrilla il formato (o la sua modalità) è spesso ciò che ci fornisce l’impatto emotivo.
Quindi lo stesso contenuto che su un volantino sarebbe banale diventa ad alto impatto emotivo grazie ad un modo particolare di “impacchettarlo”.
E la capacità di studiare nuove modalità e nuovi formati diventa cruciale per preservare il beneficio di tali operazioni e per stimolare attenzione ed essere notati e distinguerci.
Soprattutto ci mette in considerazione di avere un ritorno di immagine anche quando ci copiano!
La prossima volta che rivedrò una scritta sullo specchio del bagno del cinema penserò: «ah, si… hanno fatto come la pubblicità del film di Melissa P«.
Quindi verso cosa andrà la mia attenzione? Verso il primo prodotto/brand a utilizzare quella modalità o verso quello nuovo?
Per cui, come possiamo iniziare a creare campagne a impatto emotivo talmente alto da legarlo indissolubilmente al nostro brand senza rischio di confusione?