L’AGCOM ha provveduto alcune settimane fa a stilare il rapporto annuale (pdf) sulle attività dell’Authority per l’anno passato, rapporto presentato alla Camera a fine luglio prima della pausa estiva che ha mandato il tutto nel dimenticatoio. Ai dati presenti nel rapporto non è stata data forse sufficiente rilevanza in quanto dai numeri emerge una situazione in alcuni casi drammaticamente problematica che dipinge per l’Italia un quadro di preoccupante staticità. Il paese digitale cresce, insomma, ma non abbastanza per tenere il passo con gli altri paesi europei.
Il resoconto elenca tutti gli interventi portati a termine e traccia un quadro generale della situazione, quadro in cui la telefonia mobile rappresenta l’elemento di maggiore importanza a livello internazionale. Il rapporto sottolinea il fatto che sembra essere ormai avviata una fase di importanti investimenti miranti la costruzione di performanti reti di comunicazione per i servizi integrati: trattasi di interventi molto onerosi soprattutto dal punto di vista dell’ingegneria civile, ma trattasi di un passaggio necessario per accedere alle importanti opportunità che si intravvedono per il futuro prossimo.
Alcuni spunti dal resoconto AGCOM relativo alla situazione internazionale:
- il WiMax sarà usato principalmente per ridurre il digital divide in zone impervie, ma alcuni problemi di varia natura non ne lasciano prevedere l’adozione massiva se non entro qualche anno;
- «se il double play (telefonia ed accesso broadband)
incontra le preferenze dei consumatori, le potenzialità del triple play (double play a cui si aggiungono i contenuti audio-video), non sono state ancora del tutto recepite dal mercato» - uno tra i primi punti affrontati sembra quasi una malcelata ammissione di colpa: «il rischio evidenziato è che l’operatore verticalmente integrato favorisca i propri servizi sfruttando la posizione di forza nel segmento dell’accesso, a scapito delle società concorrenti»: una frase dai toni generali nel contesto di una analisi internazionale, una frase a cui mancano solo nomi e cognomi ma che ben calza anche e soprattutto alla situazione nostrana.
Ed infine gli spunti di maggior rilievo relativamente alla situazione nazionale (emergenti peraltro da dati raccolti per la prima volta direttamente dall’AGCOM e non ereditati da fonti esterne di minore affidabilità):
- il settore italiano delle telecomunicazioni negli ultimi 12 mesi ha visto un nuovo rallentamento dei ricavi da servizi vocali ed un nuovo aumento dei ricavi per la componente dati; è aumentata la banda larga parallelamente alle offerte combinate;
- «nell’ultimo anno si è consolidato il ricorso alla gestione diretta del cliente di servizi di rete fissa da parte di tutti gli operatori, attraverso, soprattutto, l’affermazione dello strumento dell’accesso disaggregato alla rete di Telecom Italia (Unbundling del Local Loop), anche se quest’ultima, attraverso la proprietà dell’unica rete locale diffusamente distribuita sul territorio nazionale, permane, pur in presenza di quote di mercato calanti, in condizioni di significativa forza di mercato;
- in Italia il 40% degli utenti di reti a banda larga adopera connessioni a consumo, mentre solo il 60% usa tariffe “flat”; «i dati disaggregati per tipologia di traffico evidenziano che, mentre il traffico per fonia vocale mostra una flessione contenuta (-2,1%), a indicazione di una tendenziale stabilità dovuta alla maturità del servizio, e la telefonia pubblica è oggetto di una progressiva marginalizzazione connessa all’effetto di sostituzione con la telefonia mobile, il traffico da accesso ad internet in banda stretta (dial up) subisce una più rilevante riduzione, pari a circa il 16%, per effetto del passaggio a servizi a larga banda […] infatti, gli accessi broadband sono decisamente cresciuti nel corso dell’ultimo anno, raggiungendo, a fine 2006, gli 8,4 milioni»;
- particolarmente interessante è il quadro delineato relativamente all’incremento di utenza in banda larga: «il recupero del nostro Paese rispetto ai principali paesi europei ha conosciuto una fase particolarmente dinamica fino all’inizio del 2005 che ha in parte interessato anche il 2006, mentre successivamente la diffusione della larga banda è proceduta con ritmi più contenuti, quasi a testimoniare che – anche per la larga banda – non sia molto lontano il momento di “sostanziale” saturazione della clientela interessata ai servizi». Tutto ciò non considerando però i limiti di copertura gravanti sul nostro paese, parametro che va però poi a riflettersi sulla situazione rispetto alla media europea: «nonostante il sostenuto tasso di crescita degli ultimi anni, l’Italia non è riuscita a colmare il divario, in termini di diffusione dei servizi broadband in rapporto alla popolazione residente, che la separa dai maggiori paesi europei». Insomma: alta crescita in termini relativi, ma forte penalizzazione in termini assoluti;
- «i grandi comuni e le aree metropolitane, costituite da zone del territorio che, per la loro struttura morfologica, sono più facilmente raggiungibili dalle infrastrutture anche sostenendo un minore costo unitario, registrano coperture pressochè complete, con valori pari o superiori al 95% (come i comuni superiori a 10.000 abitanti), mentre i comuni di dimensioni più contenute risultano coperti mediamente in misura inferiore al 40% […] permane dunque una significativa quota della popolazione italiana che non ha attualmente accesso, nemmeno potenzialmente, al servizio: sono valutabili in circa 6,5 milioni gli italiani che risiedono in zone di “digital divide infrastrutturale”»;
- in Italia la rete è pesantemente ancorata all’infrastruttura Telecom Italia e la cosa «dimostra, anche in previsione del futuro sviluppo dei servizi innovativi a larga e larghissima banda, la dipendenza dell’intero settore nazionale dalla rete di accesso dell’incumbent»;
- in Italia si spende poco in personal computer, ma al tempo stesso il livello di spesa per gli utenti in banda larga è paritetico a quello dei paesi più sviluppati sotto questo punto di vista. La banda larga, insomma, si configura come un traino fondamentale da cui le aree digital divise risultano escluse. La spesa italiana pro-capite in informatica ammonta ad un cifra pari appena al 57% rispetto alla media EU15. Insomma: in Italia in informatica si spende la metà rispetto alla Germania ed un terzo rispetto al Regno Unito.
Interessanti i commenti delle parti chiamate in causa e raccolti da Key4biz dopo la relazione del Garante. Basterà invece dare un’occhiata ai vecchi report dell’AGCOM per notare come in Italia, in questo settore, nel tempo tutto sia cambiato senza che nulla sia cambiato.