Il rapporto tra Apple e Greenpeace è vivo e ruvido da tempo. Dapprima è stata l’associazione per la difesa dell’ambiente a cercare un contatto mettendo l’azienda di Cupertino all’indice per alcuni comportamenti considerati poco ecologici. In seguito è stato Steve Jobs in persona a cercare i favori di Greenpeace con una promessa pubblica seguita da fatti concreti. Ora è nuovamente Greenpeace a tornare sull’argomento per reclamare il rispetto nel tempo delle promesse pregresse.
Greenpeace aveva inizialmente messo Apple nell’elenco delle aziende meno rispettose dell’ambiente: nei prodotti di Cupertino erano infatti stati individuati materiali inquinanti del quale si sarebbe potuto fare a meno con un processo produttivo maggiormente responsabile. Steve Jobs pubblicò così una lettera aperta, a tutt’ora online, nella quale il numero uno dell’azienda della mela avanzava promesse precise per migliorare l’impatto ambientale dei prodotti Apple alla fine del proprio ciclo di vita.
Greenpeace ha però voluto monitorare la situazione nel tempo e l’attenzione è caduta sul noto iPhone, venduto in oltre un milione di pezzi e finito in uno dei laboratori dell’associazione per una “vivisezione” avente lo scopo di analizzare circuiti e componenti del telefono. Il risultato è contenuto in un video distribuito su YouTube (a fine paragrafo la versione con sottotitoli in italiano) ed è così espresso nel riassunto disponibile sul sito italiano: «i risultati sono preoccupanti: l’iPhone è pieno di PVC, cloro, ftalati e molti composti ritardanti di fiamma a base di bromo. È in linea con la normativa europea per quanto riguarda i metalli e due composti ritardanti di fiamma, ma la presenza di cloro e ftalati dimostra che l’azienda non ha fatto nulla per onorare l’impegno a eliminare tutti i composti a base di bromo e il PVC entro la fine del 2008, neanche sulle nuove linee di prodotti».
Il rapporto riporta anche un aspetto ulteriore, i cui risvolti ambientali vanno a braccetto con quelli economici dell’utenza: «nel corso delle analisi, si è inoltre visto come la batteria dell’iPhone è insolitamente saldata al telefono stesso: è una modalità che ostacola la sostituzione della batteria e determina una maggiore difficoltà nella separazione della batteria per avviarla al riciclo o per smaltirla in modo appropriato, aggiungendo un ulteriore carico inquinante ai rifiuti elettronici». Il report dimentica l’insolita procedura di sostituzione per cui Apple richiede l’invio del telefono alla casa madre (con probabile riciclo sistematico delle batterie) con conseguente impossibilità da parte dell’utenza di sostituire autonomamente tale apparato.