Tra appena tre anni potrebbero non esserci più combinazioni numeriche disponibili per l’allocazione degli indirizzi internet. L’allarme sul destino della Rete proviene da Vint Cerf, ideatore con Bob Khan del protocollo TCP/IP e presidente uscente del Board of Directors dell’ICANN. Secondo le previsioni di Cerf, senza l’introduzione di un nuovo protocollo numerico, il rischio di non poter più accedere al Web diverrebbe concreto per milioni di persone (dichiarazione lanciata con evidente scopo allarmistico, in realtà smorzato nelle parole successive: «per essere chiari – se esauriremo gli indirizzi IPv4 non significa che internet smetterà di lavorare. Ma la gente che vuole un indirizzo IPv4 non potrà averlo»).
Attualmente la Rete utilizza il sistema IPv4 che consente l’utilizzo di oltre quattro miliardi di indirizzi numerici univoci, un numero enorme, ma non sufficiente per gestire il crescente numero di apparecchi elettronici che richiedono una connessione online. Nonostante l’IPv6, il nuovo metodo di attribuzione numerica, sia ormai pronto e disponibile da circa dieci anni, il sistema stenta a decollare. I moderni computer e le strutture di rete sono perfettamente compatibili con il nuovo standard, ma la maggior parte degli Internet provider è ancora molto restia ad applicare l’IPv6. Vint Cerf non ha dubbi: «la ragione per cui non abbiano ancora adottato lo standard è dovuta agli utenti che non l’hanno ancora richiesto, il mio compito è quello di persuaderli a richiederlo».
Lo standard IPv6 consentirebbe la creazione di 340 trilioni di trilioni di trilioni di indirizzi numerici univoci, una cifra sufficiente per garantire le connessioni alla Rete per molti decenni, se rapportate agli attuali trend di crescita. «Per il 2008 prevedo un considerevole aumento dell’utilizzo dello standard IPv6, gestito in parallelo con il vecchio IPv4» ha dichiarato alla BBC Vint Cerf. Per la sua architettura, il nuovo standard non è compatibile con quello attuale. Per questo motivo gli Internet provider saranno obbligati a gestire i due sistemi in parallelo, ciò aumenterebbe i costi di gestione e giustificherebbe la ritrosia nell’adottare l’IPv6 da parte dei fornitori di connettività. Conscia della delicata questione, l’Unione Europea sta valutando politiche per incentivare l’utilizzo dell’IPv6 mentre Cina, Korea e Giappone già vi stanno mettendo le mani in pasta.