Maledetta pagina 404. Per gli utenti è il momento dello smarrimento, quando va cercato l’errore che non porta il browser a trovare la pagina cercata e restituisce un errore che suona come una strada sbarrata. Alcuni siti ne decorano l’approdo, così che l’errore sia meno traumatico e se ne possa uscire con soddisfazione. In molti altri casi, però, la 404 è solo un’interruzione della navigazione e sono molti coloro i quali hanno nel tempo cercato di far proprio quello spazio per potervi trarre traffico e lucro. Ognuno, a modo proprio, ha ostentato un approccio amichevole con l’utenza, una funzione di guida per uscire dai problemi, ma spesso il tutto è stato visto come un oltraggioso ed indiscreto superamento del limite tra aiuto ed invadenza. Ed ora anche il nome Google finisce nella rete.
Lo chiamano Trash Traffic. Una stima di molto tempo fa indicava in molti milioni le pagine digitate con url errato ogni singolo giorno. Una consistente porzione di traffico, insomma, può essere facilmente direzionata semplicemente sostituendo il messaggio di errore con un messaggio di speranza che aiuti l’utente ad individuare quanto cercato. Ma la domanda che si pone è: chi ha il diritto di mettere le mani sull’errore 404? Nel tempo ci hanno provato MSN, Paxfire, Verisign. recentemente ancora Microsoft con Live Search ed Internet Explorer. Ora è Google a passare al contrattacco facendo leva sulla nuova toolbar 5 beta per Internet Explorer 7.
Installando la toolbar, Google predispone un sistema che, nel caso in cui il browser incappi in un errore 404, compare un modulo di ricerca che offre all’utente una seconda possibilità per trovare quanto desiderato: l’algoritmo Google si propone di prendere per mano l’utente ed accompagnarlo al risultato. In alcuni casi la toolbar non è sufficiente ed è Live Search ad intervenire: sistema similare, paritetico risultato. Non sempre, però, gli utenti sono contenti di tutto ciò. Ancor meno gradiscono i webmaster, i quali vedono il proprio utente in fuga dal sito solo a causa di un errore di digitazione.
Il modo con cui Google ha pensato il proprio approccio alla 404 è comunque sufficientemente lineare: Google non replica pagine di errore già impostate ed ogni intervento è esclusivamente relativo a pagine che non forniscono alcuna informazione aggiuntiva all’autore e non rappresentano altresì uno spazio occupato dal webmaster. La casistica si estende a 3 situazioni:
- Pagina 404 di default: la toolbar interviene con il box previsto da Google suggerente un link alternativo e presumibilmente valido;
- DNS error: nel caso in cui venga digitato un url inesistente, Google suggerisce quella che è l’ipotesi più probabile relativa alla correzione;
- Connection failures: se il server non è raggiungibile, la toolbar propone una versione “cached” del sito quando e solo se espressamente permesso da quanto impostato nel file robots.txt.
Google esplicita la nuova policy direttamente tra le FAQ della nuova toolbar: «Oops! This link appears broken» anticipa il messaggio e si indicano quindi le operazioni da seguire per togliere tale funzione sfruttando le opzioni della barra di utility Google (menu “opzioni”, tab “search”, deselezione del box “browse by name in the address bar”, save). Vista la linearità dell’approccio al problema, perchè Google non ha agito a tutto tondo predisponendo tale funzione come disattivata in impostazione standard, così che potesse l’utente scegliere di propria iniziativa cosa farne delle pagine 404 incontrate durante la navigazione? La domanda è opportuna ed andrebbe però girata a tutti gli altri servizi che operano pari trattamento.
Questa, almeno, la posizione emersa dalle prime polemiche che hanno circondato l’annuncio della toolbar. In realtà al momento la funzione sembra essere disabilitata di default (un intervento in corso d’opera?), dunque non imposta all’utente. Rimane però la strana caratteristica della funzione nascosta dietro il pulsante che avvia la possibilità di utilizzare parole semplici al posto degli url, affidando alla toolbar la traduzione al vero e proprio indirizzo relativo: la traduzione delle pagine 404 è esplicitata solo nelle FAQ, insomma.
Più a monte, il problema è quasi filosofico e non trova ancora risposta dopo anni di diatribe: chi ha il diritto di controllare la pagina 404? L’autore del sito? Il gestore della connessione? Il produttore del browser? L’autore di un software installato a corredo del browser? La risposta dovrebbe essere: “l’utente”. Ma questa risposta non crea lucro.