E’ dall’estate 2006 che la CNN ha in piedi una sua sezione chiamata iReport (con sprezzo del pericolo per le cause intentabili da Apple), dove coltivare, alimentare e gestire il citizen journalism. Fino a poco tempo fa delle migliaia di video, report, foto, storie, notizie, eccetera che arrivavano a iReport la redazione faceva un scrematura e nei casi migliori ne includeva alcune nel suo giornale online.
Almeno 10.000 sono state le missive inviate al sito e solo il 10% di queste è poi comparsa sulle pagine di CNN.com o sul canale televisivo.
Ora iReport diventa un sito autonomo e non gestito, nel senso che presenterà le notizie inviate dagli utenti senza filtro o controllo che non sia il solito “moralizzatore” teso ad evitare o avvertire di immagini troppo forti o contenuti espliciti.
A decidere le priorità e formare quindi l’agenda mediatica saranno gli utenti stessi. «Gli utenti decideranno cosa è una notizia, noi non incoraggeremo o scoraggeremo nulla» ha dichiarato Susan Grant vicepresidente dei servizi CNN.
L’idea è sperimentare e questo è ottimo.
Non ci sarà nemmeno troppa pubblicità perchè la cosa non solo non è semplice da vendere, ma è anche difficile da monetizzare. Non ci saranno pre-roll ads, comparirà giusto qualche banner generico.
La sperimentazione è tale che la libertà deve essere totale nel senso che non solo non ci sarà il minimo controllo sulle storie ma nemmeno sui pareri espressi tanto che, è stato detto esplicitamente, iReporter potrà assumere, se capiterà, posizioni diverse da quelle direzione di CNN. Dunque messo in questa maniera CNN sta offrendo solo uno spazio per contenuti che non controllerà. Messo così CNN regala visibilità al citizen journalism.
In realtà la questione è più complessa e sarebbe più corretto dire che CNN adesso regala spazio e visibilità. Perchè se come ci si augura l’esperimento dovesse andare bene potrebbe ridefinire o contribuire a chiarire funzioni, utilità e soprattutto limiti del citizen journalism.
A questo punto la dinamica che si presenta è quella che contrappone bottom-up contro top-down, cioè base utenti che decide o una direzione che impone forme e filtri (che in sostanza “gestisce”). Un tema su cui si è recentemente espresso con intelligenza Kevin Kelly (riportato dal blog di Luca De Biase), ex direttore di Wired, che a suo tempo dovette cominciare a sperimentare queste dinamiche in rete e che è ancora convinto che una certa organizzazione dei contenuti sottoposti dagli utenti debba esserci e che Wikipedia sia un caso isolato.