No, nemmeno io. ;-) Trattasi di disciplina volta a studiare le reazioni spontanee dei consumatori di fronte ad un prodotto allo scopo di individuare i canali di comunicazione più efficaci per promuoverlo.
Naturalmente la notizia rimbalza dagli States, e precisamente dal BITS (Brighthouse Institute for Thought Science) di Atlanta. Tra i metodi in vigore troviamo la risonanza magnetica, il biofeedback e l’eyetracking… l’eyetracking?
Ma allora non siamo di fronte a nulla di nuovo, visto che l’eyetracking si sperimenta da anni per studiare le aree di un sito sulle quali l’occhio si sofferma maggiormente durante la navigazione (il famoso Triangolo d’Oro – se non sbaglio si chiama proprio così l’area in alto a sinistra dei siti Web – è il risultato più conosciuto in merito).
Che si stia parlando di tecniche innovative o già in uso, in buona sostanza si tratta di:
- immagazzinare dati sugli impulsi cerebrali di un consumatore;
- farli digerire ad un “sistema”;
- elaborare report;
- individuare le azioni di comunicazione più idonee a fronte dei risultati emersi.
La GDO è sicuramente uno dei settori in cui il neuromarketing potrà trovare maggiore applicazione e terreno fertile, soprattutto per capire dove e come posizionare i prodotti all’interno dei centri commerciali e dei singoli scaffali.
Ma al resto del mondo serve davvero questo neuromarketing?