Il 56% della pirateria musicale in Rete è veicolata dai motori di ricerca e Baidu è imputabile per tre quarti di tali violazioni, un’accusa non leggera che mette il grande motore di ricerca cinese nei guai sia con la legge che con gli inserzionisti.
I difensori del copyright in Cina non hanno infatti esitato a definirlo: «Il più grande e recidivo distributore di pirateria di tutto il paese», e la Cina si sa che è uno dei più grandi ricettacoli di pirateria del pianeta. Ma non si sono certo fermati alle parole i difensori del diritto d’autore. L’International Federation of Phonographic Industry (IFPI), la Music Copyright Society of China (MCSC) e la China Audio-Video Copyright Association (CAVCA) hanno anche formalizzato di concerto le proprie accuse chiedendo un risarcimento di 9 milioni di dollari.
La novità, però, è che adesso sembra che non si rivolgeranno solo alla giustizia. Invece di confidare unicamente in lunghe cause dall’esito incerto (già una volta Baidu è stato assolto da accuse simili) ora le associazioni si rivolgono agli inserzionisti, chiedendo il loro supporto nel non finanziare più un simile scempio. Certo non è detto che poi davvero riescano a convincere la maggior parte degli investitori a rinunciare ad un motore di ricerca che colleziona il 60% delle richieste del paese, tuttavia anche una piccola erosione potrebbe fare la differenza.
Ad ogni modo, come riporta PcWorld, Baidu non rinuncia certo a difendersi: «Crediamo nella difesa del copyright e abbiamo già annunciato una serie di partnership con società come la EMI e altre locali che ci forniranno materiale audio in buona qualità e con tanto di licenze per l’uso, che potremo offrire in streaming ai consumatori finanziandoci con la pubblicità. Teniamo sempre in considerazione la proprietà intellettuale e lavoriamo per trovare nuovi modelli di business, inoltre siamo aperti alla cooperazione con qualsiasi etichetta musicale».