Quando viene prodotto un nuovo componente hardware, e viene dotato delle migliori tecnologie tali da renderlo superiore alla concorrenza, ci si aspetterebbe di trovarsi di fronte a un successo.
E invece la storia insegna che i videogiochi sono un campo particolare, e non sempre il migliore è colui che vince sulla carta.
Ecco in estrema sintesi la storia della console portatile Lynx prodotta da Atari nel 1989.
Dotata di un display ampio e pieno di colori (LDC da 3.5″ con 12 bit di profondità e 4096 colori), una CPU da quasi 4Mhz, e con la possibilità di gioco in rete tramite tecnologia proprietaria, o l’opzione di ruotare il quadro di 180° per facilitare i mancini (per alcuni giochi particolari vi era un gameplay verticale, come Klax), tutto ciò non è bastato per avere la meglio su una concorrenza agguerrita, che annoverava nomi come Game Boy di Nintendo, o Game Gear di Sega.
I problemi maggiori venivano da alcune scelte errate. Il fatto stesso di essere una console portatile, implicava, ad esempio, un’autonomia che andasse ben oltre le 4 ore ottenute con sei pile stilo AA.
Come se non bastasse, dimensioni e peso non erano per niente contenuti. Basta aggiungere una campagna pubblicitaria non certo degna di nota, e un parco titoli alquanto esiguo, e gli ingredienti per un flop vi erano tutti.
Due anni dopo Atari prova anche a colmare il gap con la concorrenza mettendo in commercio Lynx II, in cui cambiando il tipo di plastiche (ora con una sensazione tattile di maggiore resistenza), e apportando piccole modifiche, non riuscirono a cambiarne le sorti, fino a quando, verso la metà degli anni ’90, la console venne definitivamente dismessa.