Da una parte c’è Jobs. Una azienda di importanza planetaria pende dalle sue labbra, una community coesa lo ammira come un vate, i suoi azionisti attendono che stupisca come sempre ha saputo fare.
Dall’altra c’è Steve. Una famiglia è preoccupata per il suo stato di salute, gli impegni di personaggio pubblico impediscono un normale decorso tra riposo e cure personali, una mente abituata a volare è costretta a contare le pillole ed attendere con ansia il risultato di un esame.
In mezzo a tutto ciò c’è Steve Jobs: tra una mela d’oro ed un fisico provato; tra migliaia di dipendenti entusiasti e decine di medici confusi; tra le speranze di milioni di persone e le sue speranze, intime e private.
Comunque stia agendo, Steve Jobs non è giudicabile. Comunque stia agendo, Steve Jobs è però continuamente giudicato. Il momento potrà essere capito solo con il senno del poi, ma per ora salute ed economia si fondono sul suo nome determinando un tam-tam paradossale che non apporta beneficio alcuno.
Ora Steve Jobs avrà sei mesi di silenzio a disposizione, guadagnati con una mail-shock che mette al riparo “Steve” dall’ingombrante presenza di “Jobs”. Per sei mesi la Apple pedalerà da sola. Chissà che non possa imparare a farlo per sempre. Cadendo, riprovando, ripartendo. Prima o poi abbiamo tolto tutti le rotelle per imparare ad andare davvero in bicicletta.