Quanto ipotizzato nei giorni passati sta prendendo piede con sempre maggior concretezza. Aveva fatto discutere in tutto il mondo, infatti, il fatto che l’Italia puntasse l’indice contro Skype per poterne intercettare le chiamate. Tutto ciò con un motivo ben specifico: le organizzazioni ‘mafiose’ avrebbero spostato sul Web le proprie attenzioni grazie alla possibilità di sfuggire alle intercettazioni tradizionali su cui fa leva la magistratura per le proprie indagini. Il Ministro dell’Interno Roberto Maroni, però, ha reso evidente il fatto che lo Stato non voglia più accettare simile situazione passivamente.
Le parole di Maroni sono state oltremodo chiare. L’occasione è stata quella della presentazione della nuova versione del libro “Fratelli di sangue” (Gratteri, Nicaso; Ed. Mondadori) dedicato alla ‘Ndrangheta ed ai suoi meccanismi interni. Ha spiegato il ministro: «Gli affiliati della ‘ndrangheta non parlano più col cellulare o col telefono fisso ma con Skype e questo rende praticamente impossibile l’intercettazione. In questi giorni c’è il dibattito politico sulle norme, ma qui in realtà dobbiamo capire come fare con le nuove tecnologie. Tecnicamente potremo intercettare le chiamate via skype solo se la società metterà a disposizione le specifiche tecniche. Su questo problema abbiamo anche avviato una commissione tecnica, con la presenza anche di un rappresentante del Cnr […] Non escludo, visto che la società ha sede a Lussemburgo, di chiedere alle autorità europee di intervenire in qualche modo. Non possiamo permettere che la giusta tutela di un brevetto industriale o della privacy permetta alla criminalità organizzata di eludere ogni intercettazione che non sia quella ambientale».
Secondo il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, l’unico modo per effettuare oggi talune intercettazioni è inserire dispositivi appositi nei pc. In remoto non è possibile invece agire, a meno che l’UE non possa imporre a Skype di rivelare quanto necessario per permettere l’intercettazione mirata delle comunicazioni desiderate. «ci sentiamo sul computer»: dopo aver sentito troppe volte questa espressione gli inquirenti hanno deciso di muoversi per far pressione a livello comunitario cercando l’appoggio dell’UE per risolvere una questione che a livello nazionale potrebbe difficilmente essere risolta.
Una prima segnalazione sarebbe già stata portata avanti presso Eurojust (Unità di cooperazione giudiziaria dell’Unione europea), senza tuttavia conseguire al momento risultati apprezzabili.