Una pagina è per spiegare ciò che si intende dire difendendo Francesco Alberoni.
Una pagina è per partire dal principio, e dimostrare che Francesco Alberoni non è un quaquaraqua che la spara grossa senza avere una base importante alle spalle.
Una pagina è per smontare rispettosamente l’ultimo articolo di Francesco Alberoni.
Un’ultima pagina è un motto di speranza: perché nessuno meglio di Francesco Alberoni potrebbe spiegare come e perché il suo ultimo articolo era frutto di un errore.
Quattro pagine per un percorso. Le verità non le si raggiunge mai in due parole, e in questo caso era più intricato che mai. Sperando di aver reso servizio utile a chi non vuol sparare alla cieca per il gusto della critica, questo è l’approfondimento della settimana. Approssimativamente sullo stesso binario, il pensiero di Roberto Dadda:
Qualche volta la blogsfera mi ricorda le bande degli anni sessanta: ragazzi identici nel modo di vestire, nel modo di parlare e nel modo di pensare. Quando qualcuno non della banda pronunciava anche solo una parola aliena al gruppo veniva dileggiato con strizzatine d’occhio e complici sgomitate che dicevano “Non sei dei nostri e se non sei dei nostri non sei nessuno”.
In alternativa, invece, per avvalersi di un paio di percorsi di approccio opposto, ecco l’analisi di Vittorio Zambardino sul medesimo tema:
Si fa presto a liquidare con un’alzata di spalle la richiesta di una moratoria di YouTube e Chat, lanciata oggi da Francesco Alberoni sul Corriere della Sera. Si potrebbero dire (e si diranno) tante cose, ne sottoscriverei una sola: che Alberoni mostra di non capire i vissuti di cui parla e si riduce a fustigatore di costumi
E quella di Sergio Maistrello:
Su una cosa ha ragione, secondo me, Francesco Alberoni: ci vuole una moratoria. Ma a differenza di Alberoni, che per salvare gli insulsi giovani d’oggi spegnerebbe per due mesi l’anno YouTube, le chat e le discoteche […], penso che a tacere dovrebbero essere, ma tipo per almeno dodici mesi l’anno, tutti coloro che non hanno idea di che cosa stiano parlando […]. Di questi illetterati annacquatori di dibattiti digitali, criminali sabotatori di opportunità democratiche, assassini del buon senso non abbiamo alcun bisogno e io ne provo crescente orrore – appena mitigato nei casi, come credo sia quello di Alberoni, in cui mi immagino lo sforzo che la buona fede deve aver fatto per arginare l’arroganza delle dita mentre battevano sulla tastiera.