«Proposta di emendamento al DDL n.1611: Al comma 28 dell’art. 1, lettera a), capoverso le parole: “Per i siti informatici” sono sostituire con le seguenti: “Per i giornali e periodici diffusi per via telematica e soggetti all’obbligo di registrazione di cui all’articolo 5”. Al comma 28 dell’art. 1, lettera e), le parole: “o delle trasmissioni informatiche o telematiche” sono sostituire con le seguenti: “o dei giornali e periodici diffusi per via telematica e soggetti all’obbligo di registrazione di cui all’articolo 5″».
Il testo è quello proposto in Rete da Guido Scorza tramite il proprio blog, «483 caratteri (spazi inclusi) per salvare la Rete» frutto di una discussione che ha voluto portare un passo avanti l’intervento della Rete sul DDL per le intercettazioni. È noto infatti come un preciso comma del testo oggi in Senato apporti gravi problemi agli utenti del Web, obbligandoli a precipitose rettifiche per evitare di dover rispondere alle stesse responsabilità a cui già rispondono gli editori. La proposta si affianca ad una raccolta firme già in atto, scaturente dalla proposta dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione e costituente il primo atto di una protesta che il mondo del Web è intenzionato a portare avanti.
Il DDL 1611 è in Senato. «Non serve molto: basta un pò di buona volontà ed un emendamento da 483 caratteri spazi inclusi che ho buttato giù nell’ambito di questo bel processo di democrazia partecipata e che – fatte le modifiche ed integrazioni che chiunque (senatori compresi) ritenesse di apportarvi – potrebbe essere stampato su carta intestata del Senato e depositato a Palazzo Madama». Quello che si chiede alle istituzioni è l’ascolto delle richieste che giungono dalla Rete, richieste radicate in un problema evidente e scaturenti da una necessità oggettiva: evitare uno stato di diritto che pone una spada di Damocle sulla testa degli utenti minando alla base la libertà di espressione.
La raccolta firme intende dare spessore ed importanza ad un testo destinato a giungere sul tavolo dei vari capigruppo in Senato. Dalla base alla sala dei bottoni, direttamente, tramite il più classico degli strumenti per una vera democrazia partecipativa.