Jammie Thomas-Rasset aveva scelto di non scendere a patti con la RIAA e di affrontare un normale processo, ma ora dovrà pagare 1,92 milioni di dollari di danni per pirateria. Termina con un clamoroso risultato il nuovo capitolo nella vicenda legale della 32enne del Minnesota, citata in giudizio un paio di anni fa dalla Recording Industry Association of America per aver scaricato e condiviso alcuni brani musicali attraverso il famoso client peer to peer Kazaa. All’epoca la donna decise di rifiutare un accordo diretto con la RIAA, portando così in tribunale il caso.
Madre di quattro figli, Thomas-Rasset è stata giudicata colpevole per aver violato il diritto d’autore da una giuria, che nella giornata di ieri ha impiegato appena cinque ore per giungere al verdetto finale. La donna è stata condannata a pagare l’esorbitante cifra di 1,92 milioni di dollari per aver scaricato 24 brani musicali protetti da copyright da Kazaa. Per ogni canzone scaricata illegalmente dovrà quindi corrispondere una cifra pari a circa 80mila dollari. Le etichette musicali che potranno beneficiare del risarcimento sono complessivamente sei: Capitol Records, Sony BMG Music, Arista Records, Warner Bros. Records, UMG Records e Interscope Records.
Valutata la cifra stabilita per il risarcimento, la giuria deve aver tenuto molto in considerazione le parole dell’accusa, che non ha utilizzato mezzi termini definendo l’azione dell’imputata un furto. Nell’arringa finale, il rappresentate legale delle etichette discografiche ha sottolineato come l’azione della donna avesse di fatto consentito a «milioni di utenti su Internet» di scaricare i brani musicali protetti dal copyright. «[Jammie Thomas-Rasset, ndr] ha violato il diritto d’autore dei mie clienti e poi ha cercato di coprire la cosa» ha dichiarato il legale Timothy Reynolds.
Parte dell’impianto della difesa della giovane donna era infatti basato sul tentativo di scaricare le responsabilità dei download verso il suo ex marito, o i suoi figli ancora troppo piccoli per essere processati. Una strategia mirata a instillare nella giuria un ragionevole dubbio per evitare una condanna o attenuarne almeno l’entità, ma rivelatasi con ogni evidenza fallimentare.
Per il medesimo caso, Jammie Thomas-Rasset era già stata condannata nel 2007 a pagare 220mila dollari di danni per i 24 brani incriminati, identificati su un totale di circa 2000 brani dall’accusa. Nel 2008 la sentenza fu però annulata dal giudice che aveva seguito il caso a causa di un vizio di forma processuale, portando dunque alla celebrazione di un nuovo processo. La donna decise di andare avanti rifiutando qualsiasi forma di accordo con la RIAA, una decisione senza precedenti che destò molto scalpore. Le migliaia di cause legali intentate dalla RIAA nel corso degli ultimi anni si sono infatti sempre concluse con un accordo privato tra le parti, solitamente reso possibile dall’esborso di cifre tra i 3.000 e i 5.000 dollari per il pagamento dei danni alle etichette discografiche.
La giovane donna del Minnesota sembra essere comunque determinata a proseguire la sua battaglia legale e potrebbe dunque ricorrere in appello. Secondo alcune indiscrezioni online, i legali di Jammie Thomas-Rasset sarebbero anche intenzionati a sondare il terreno sul fronte RIAA per stringere infine un accordo e dirimere la vicenda. I rumor in tal senso non hanno però trovato al momento alcuna conferma ufficiale.
La sentenza del processo Thomas-Rasset con la condanna all’esborso di una cifra milionaria costituisce dunque un unicum nel panorama delle vicende legali avviate dalla RIAA, e potrebbe rimanere un caso isolato. La Recording Industry Association of America ha infatti deciso di interrompere entro fine anno la strategia delle denunce contro chi condivide illegalmente la musica online, concentrandosi maggiormente sulla prevenzione della pirateria attraverso la collaborazione degli Internet Service Provider.