Una nuova proposta di legge (2455, datata 20 maggio 2009) ha fatto capolino alla Camera per intervenire nuovamente nei confronti della Rete interpretando quest’ultima come un unico grande editore da limitare, responsabilizzare e conseguentemente punire all’occorrenza. Trattasi in questo caso di una vicenda particolarmente delicata: la proposta di legge intende infatti normare il cosiddetto “diritto all’oblio“, qualcosa che aleggia da sempre nell’alveo del dibattito sul Web, ma che ancora non ha preso forma in alcun provvedimento reale. La proposta è dell’on. Carolina Lussana (Lega Nord) e, in attesa che il testo proceda verso la prima lettura parlamentare, la segnalazione di Guido Scorza ne porta i contenuti all’attenzione della comunità della Rete.
Per “diritto all’oblio” si intende il diritto ai privilegi della memoria corta, quella che da sempre cancella le virtù e perdona le colpe grazie al tradizionale processo di sostituzione che la carta stampata compie sui fatti e sui personaggi. Gli spazi limitati dei media tradizionali, infatti, procedono per sottrazione: ad ogni nuovo accadimento si va a sostituire lo spazio destinato a quello precedente. La Rete, invece, lavora per addizione ed i fatti nuovi vanno a stratificarsi su quelli vecchi mentre i motori di ricerca mettono a disposizione tutto e sempre nelle mani di quanti ne formulano specifica query. L’oblio informativo, pertanto, con il web è venuto a decadere ed il diritto allo stesso è diventato in taluni casi una necessità avvertita.
Spiega infatti l’on.Lussana nel testo di presentazione della propria iniziativa: «La presente proposta di legge è finalizzata a riconoscere ai cittadini, già sottoposti a processo penale, il cosiddetto «diritto all’oblio» su internet, cioè la garanzia che – decorso un certo lasso temporale – le informazioni (immagini e dati) riguardanti i propri trascorsi giudiziari non siano più direttamente attingibili da chiunque. […] Spesso, anche a distanza di anni da una sentenza penale, molte informazioni presenti su pagine internet (mai aggiornate o rimosse) continuano a proiettare un’immagine cristallizzata di una determinata vicenda giudiziaria, senza riflettere – il più delle volte – l’attuale modo d’essere del soggetto coinvolto, il quale può aver saldato definitivamente il suo conto con la giustizia ed essere completamente risocializzato. Altre volte, invece, certi dati e immagini sono suscettibili di generare un’ingiusta e continua riproposizione di fatti per i quali l’imputato è stato prosciolto. Si pensi al caso di chi, dopo diversi anni da un’indagine conclusasi con un’archiviazione, continua ad essere presente, anche con la propria immagine, su decine di pagine web, raggiungibili con una semplice verifica su un motore di ricerca […] È bene rammentare come il mantenimento di determinate informazioni sulla rete (che chiunque, e senza particolari accorgimenti, potrebbe visualizzare e scaricare) rischi di determinare un continuo pregiudizio alla vita lavorativa e affettiva del soggetto interessato».
La legge intende definire e garantire il diritto alla dimenticanza «fissando alcuni limiti invalicabili oltre i quali non si può andare». Il tutto è stato fissato in 6 articoli.
- La proposta di legge
- Il Garante per la Privacy e Google
- Diritto all’oblio, dovere all’oblio
- In Rete ha senso parlare di oblio?
L’art.1 è diviso in tre commi. Nel primo vengono definiti i limiti che garantiscono la piena libertà di informazione (al netto di eventuali autorizzazioni scritte da parte della persona da garantire), creando una correlazione diretta tra l’entità della sentenza ed i tempi liberi dell’informazione inerente:
- «tre anni dalla sentenza irrevocabile di condanna per una contravvenzione»;
- «cinque anni dalla sentenza irrevocabile di condanna per un delitto, se la pena inflitta è inferiore a cinque anni di reclusione»;
- «dieci anni dalla sentenza irrevocabile di condanna per un delitto, se la pena inflitta è superiore a cinque anni di reclusione»;
- «quindici anni dalla sentenza irrevocabile di condanna per un delitto, se la pena inflitta è superiore a dieci anni di reclusione»;
- «venticinque anni dalla sentenza irrevocabile di condanna per un delitto, se la pena inflitta è superiore a venti anni di reclusione».
Nel secondo importante comma si indica invece un obbligo specifico in caso di assoluzione: «Le immagini e i dati di cui al comma 1 devono essere definitivamente rimossi e cancellati quando è trascorso un anno dal momento in cui è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, se è stato pronunciato decreto di archiviazione o se è intervenuta sentenza definitiva di proscioglimento, anche a seguito di revisione».
L’art. 2 concerne l’«Ordine di rimozione dai motori di ricerca o di cancellazione dei dati e delle immagini dai siti web sorgente». L’articolo pone in capo ai siti web ed ai motori di ricerca l’obbligo dell’eliminazione dei dati personali trattati in violazione dell’art.1. Tale obbligo non può solo essere fatto rispettare dalla persona da garantire, ma anche da eventuali eredi o conviventi, e le sanzioni pecuniarie previste in caso di violazione vanno da 5000 a 100000 euro. L’art. 4 prevede specifico diritto per eredi e conviventi di avere acceso all’eventuale risarcimento del danno, anche morale, derivante da accertata violazione.
L’art.3 pone una vaga limitazione della legge all’ambito giornalistico: «È fatto salvo il diritto alla conservazione sui siti internet dei dati e delle immagini per finalità di ricerca storica o di approfondimento giornalistico, anche in assenza di consenso dell’interessato, purché risulti un oggettivo e rilevante interesse pubblico, sempreché il trattamento avvenga nel rispetto della dignità personale, della pertinenza e veridicità delle notizie, nonché del diritto all’identità». Inoltre quanto indicato nei primi due articoli non verrebbe applicato nel caso di persone condannate con sentenza definitiva all’ergastolo; condannate per genocidio, terrorismo o strage; condannate per reati commessi nell’esercizio di pubbliche funzioni nel caso si siano esercitate alte cariche.
Va ricordato come già nel 2006 il Garante per la Privacy richiamò Google sull’argomento, aprendo ufficialmente il dibattito sul diritto all’oblio nella sua dimensione online. Spiegava ai tempi il Garante: «le informazioni presenti nei motori di ricerca devono essere aggiornate. Il diritto delle persone ad essere rappresentate su Internet con informazioni esatte deve essere sempre garantito in rete, anche fuori delle pagine web che per prime pubblicano i dati. In alcuni casi, il rischio è quello di arrecare seri danni agli interessati. Il Garante per la privacy ha scritto al quartier generale di Google (Google Inc.), in California, invitando la società ad individuare possibili soluzioni per risolvere il problema della permanenza in rete di informazioni personali che restano consultabili e sono a volte predominanti nei risultati della ricerca, malgrado siano state corrette, perché superate o non più rispondenti alla realtà dei fatti, presso i “siti web sorgente” dai quali le pagine sono state estratte».
Google, fin da allora, conscio della propria delicata posizione e da poche settimane al centro di un grave caso che sta riverberando ancor oggi i propri effetti legali, cercava un dialogo con le autorità per giungere ad una soluzione comune condivisibile e praticabile: «Google tiene in massima considerazione la privacy. Creiamo i nostri prodotti nel massimo rispetto della privacy dei nostri utenti, e lavoriamo continuamente a stretto contatto con le Autorità di protezione dei dati personali, compreso il Garante della Privacy italiano, per assicurarci che i nostri servizi siano in linea con gli standard europei».
A distanza di tempo, però, il diritto all’oblio rimane un tema di difficile definizione e, per logica conseguenza, di difficile intervento. Google Italia, in un post del 1 Giugno 2009 firmato dall’European Privacy Counsel Marco Pancini, spiega: «Non esistono risposte codificate a problemi come il diritto all’oblio da una parte e, dall’altra, il controllo totale che le esigenze di sicurezza del mondo moderno sembrano richiedere. La strada che è stata indicata da Mauro Paissan e Peter [Peter Fleischer, il Global Privacy Counsel] passa attraverso la collaborazione di tutti i soggetti interessati nel disegnare regole sulla privacy facili da applicare e che permettano agli utenti di essere padroni dei loro dati personali».