I processori a 32 nanometri devono ancora essere presentati (manca poco per la piattaforma Westmere di Intel), ma già sono in fase avanzata gli studi per il prossimo step produttivo: i 22 nanometri.
Sia il chipmaker di Santa Clara che la concorrente Globalfoundries hanno illustrato le tecniche che permetteranno di risolvere i problemi derivanti da una tale miniaturizzazione dei transistor.
Il primo passo da compiere è l’utilizzo di una nuova tecnologia fotolitografica. L’attuale litografia ad immersione (IL) impiegata da Intel per le sue CPU a 32 nanometri non potrà infatti essere più adoperata. Quindi spazio alla Extreme Ultraviolet Lithography (EUV) che consentirà di realizzare chip a 22 nanometri.
Il transistor finale viene ottenuto incidendo il materiale fotosensibile presente sul wafer di silicio con luce laser, in base alla disposizione successiva di maschere. Ma per produrre chip sempre più piccoli, negli anni, è stato necessario ridurre la lunghezza d’onda del raggio incidente e migliorare la capacità di focalizzazione delle lenti.
La EUV impiega una lunghezza d’onda di 13,5 nanometri (contro i 193 nanometri della IL) e una serie di specchi che dovrebbe permettere ad Intel di raggiungere il traguardo degli 11 nanometri per i suoi processori con frequenze superiori ai 10 GHz.
La strada percorsa da Globalfoundries invece consiste nel ridurre lo spessore dello strato di ossido del gate di un transistor. La diminuzione dello spessore comporta infatti un aumento della velocità di commutazione e una maggiore capacità elettrica, ma contemporaneamente anche un aumento della corrente di dispersione (leakage) che provoca un aumento dei consumi.
Globalfoundries, in collaborazione con IBM, ha sviluppato una nuova tecnica che risolve questo problema, permettendo di realizzare transistor con bassa corrente di leakage, bassa tensione di soglia ed elevata mobilità degli elettroni: n-MOSFET con EOT (Equivalent Oxide Thickness) di 0,55 nanometri e p-MOSFET con EOT di 0,7 nanometri.