C’è molta confusione intorno a ciò che sta accadendo da quasi un mese a Teheran, dopo che l’esito delle ultime elezioni ha fatto scoppiare un’ondata di proteste, culminata con una feroce repressione da parte delle forze di polizia.
Se ciò fosse accaduto una manciata di anni fa, probabilmente, ne sapremmo ancora meno.
È grazie a sistemi come Twitter che milioni di iraniani sono riusciti ad infrangere la barriera di silenzio imposta dal regime e comunicare al resto del mondo ciò che stava accadendo nelle strade.
Il video amatoriale dell’uccisione di Neda Agha-Soltan, per esempio, ha riempito siti Web, blog e forum, focalizzando l’attenzione dei media sul paese mediorientale.
Il popolo della rete più forte dunque dei complessi sistemi di censura messi in campo dal regime.
Per fare un esempio, i provider iraniani sono tenuti a registrare le pagine visualizzate da tutti gli utenti, in modo da poter risalire alle informazioni cercate sul Web da chiunque.
È attivo poi un filtro che consente di bloccare l’accesso ad un corposo numero di siti considerati “pericolosi”, tra cui quello di Amnesty Internetional.
Inoltre, negli ultimi anni è entrata in vigore una legge che costringe i blogger a chiedere un’autorizzazione al fine di poter pubblicare i propri post.
Senza, si corre il rischio di essere accusati di stampa clandestina, incorrendo in pene molto severe.
Omid Reza Misayafi, un blogger 25enne incarcerato con l’accusa di “offesa religiosa”, è morto in carcere durante lo scorso mese di marzo, in circostanze non meglio precisate.
Per quanto riguarda le connessioni a disposizione, il Ministro delle Comunicazioni Mohammad Soleimani ha di recente limitato a 128kbps la banda disponibile per ogni utenza, dichiarando che il popolo iraniano non ha alcuna necessità di sfruttare accessi Internet ad alta velocità.