Prima il governo tedesco, poi Amazon, ora l’Associazione Italiana Editori (AIE): è questo il filotto che in tre giorni ha visto tre diversi documenti inviati alla Corte di New York in opposizione alla proposta di Google per veder approvata la bozza di accordo per la digitalizzazione dei libri “orfani” e fuori commercio. L’AIE ha consegnato peraltro medesima documentazione anche alla Commissione Europea, ove l’accordo stesso è già sotto indagine.
Le osservazioni fondamentali dell’AIE ricalcano un teorema già noto: «Siamo di fronte a un accordo privato che di fatto istituisce un regime speciale di gestione dei diritti a favore di una singola impresa. Il che è senza precedenti, in quanto le eccezioni del diritto d’autore sono sempre stabilite invece dalla legge e a favore del pubblico, non di un singolo. Un regime di questo genere genera rischi concreti di creazione di un monopolio nell’editoria elettronica libraria. Qualsiasi concorrente di Google, infatti, dovrà continuare a chiedere le dovute autorizzazioni. Chi potrà competere con il gigante di Mountain View, che già può sfruttare le sinergie con il suo motore di ricerca per acquisire visibilità?». Teorema, peraltro, convalidato anche da Piero Attanasio, direttore tecnico del progetto Arrow «che in Europa sta affrontando i problemi della gestione tecnologica dei diritti per le biblioteche digitali». Secondo Attanasio, infatti, Google avrebbe agito contro sua stessa natura, ignorando le dinamiche della rete e concentrando in un unico enorme database oltre 60 milioni di record «combinati in modo non trasparente».
Ma la denuncia dell’AIE va anche oltre, affondando il colpo con motivazioni ulteriori aventi l’obiettivo di rendere manifesto il modo con cui Google può trarre illecito giovamento dal proprio modo di operare. Le motivazioni sono chiare fin dalla presentazione (pdf): «Il Novecento italiano? Potrà finire per intero in Google Books. Ma per errore. È infatti dell’81% il tasso di errore del database di Google Books nel considerare come fuori commercio (e quindi liberamente digitalizzabili) le opere di 18 importanti autori italiani del Novecento. È quanto emerge da un’analisi condotta dall’AIE e che è stata inviata alla Corte di New York e alla Commissione Europea nell’ambito delle consultazioni sulla class action di Google Books».
La contestazione italiana è basata sui numeri e fa perno sull’alta fallacia del sistema che Google andrebbe ad adottare. Spiega infatti l’associazione degli editori italiani: «L’accordo transattivo tra Google e gli editori e autori USA prevede infatti che un’opera possa essere digitalizzata da Google, a meno che gli aventi diritto non dispongano diversamente, se non è più in commercio. Se però un’opera è stata edita in più edizioni nel tempo, è sufficiente che una sola di esse sia in commercio perché l’opera sia classificata come tale. Ma ciò implica la necessità per Google di raggruppare tutte le edizioni esistenti della stessa opera, per far sì che, prelevando dalla biblioteca una vecchia edizione, non la digitalizzi se ne esiste una nuova. AIE ha analizzato nella banca dati del Google Settlement 274 opere scritte da 18 importanti autori del XX secolo, del calibro di Giorgio Bassani, Italo Calvino, Andrea Camilleri, Umberto Eco, Oriana Fallaci, Dario Fo, Tomasi di Lampedusa, Cesare Pavese (solo per citarne alcuni). Il margine di errore nella determinazione dei fuori commercio? Altissimo: nell’81% dei casi (222 su 274) esiste almeno un’edizione dell’opera che Google considera fuori commercio e che l’accordo gli consente a quel punto di digitalizzare. A meno che autori, agenti o editori non correggano, con certosina pazienza, questa miriadi di errori. In altre parole per 8 testi su 10 esiste il rischio concreto che l’opera sia digitalizzata e inserita nell’offerta commerciale di Google sul mercato USA, senza autorizzazione degli aventi diritto.
La ricerca ha evidenziato il fatto che l’errore sia vicino al 100% per autori quali Bassani, Soldati, Tomasi di Lampedusa e Dario Fo, mentre scende all’80% per nomi quali Pavese, Buzzati, Calvino, Gadda, Moravia o Primo Levi. Per quanto concernente il passato, tra i 7 milioni di libri già digitalizzati vi sarebbe già gran parte delle opere fondamentali del ‘900 italiano e tali libri «non sono sottratti ai legittimi proprietari per essere diffusi gratis, ma i consumatori potranno comprarli da Google invece che dagli editori […] A causa di questo meccanismo, ogni errore commesso nella determinazione dei fuori commercio aumenta il valore dell’offerta commerciale di Google. Allo stesso tempo l’accordo prevede che se gli autori o gli editori si accorgono dell’errore, Google ha il solo obbligo di correggerlo senza dover pagare alcuna penalità». Secondo l’AIE è dunque impensabile pensare che Google possa investire il ricavato della propria attività nella riduzione degli errori, poiché tali errori aumentano il valore complessivo del servizio. Secondo l’associazione, insomma, risulta «inaccettabile un accordo che si basa sulla fiducia che un’azienda commerciale investa il proprio denaro con l’obiettivo di ridurre il valore della sua offerta commerciale. Almeno il dubbio che tassi di errore così elevati non siano del tutto casuali è dunque legittimo».
Il documento inviato alla Corte Distrettuale di New York è disponibile online (pdf) ed è firmata da Marco Polillo, Presidente AIE. Il tutto si riconduce al fatto che se sbagliare è umano, perseverare è diabolico: il che non si addice al gruppo del famigerato “don’t be evil”.