La settimana della moda a Londra è anticipata da una protesta che torna a farsi sentire e sempre con maggior forza: l’anoressia è uno dei peggiori mali dei nostri tempi, colpisce in modo sconvolgente le generazioni giovanili e determina masse nascoste di popolazione in preda a forti sofferenze psicologiche che degenerano in disordini alimentari e malessere fisico. Tutto ciò, però, senza che ci si muova contro uno dei mali più infidi del momento. L’appello giunge dal Royal College of Psychiatrists e tira in ballo direttamente Internet.
Si stima che nel solo Regno Unito siano 1.6 milioni le persone coinvolte in disagi ricollegabili all’alimentazione, ed il 90% di queste siano ragazze di giovane età. Nel momento in cui Internet è il loro punto di riferimento principale per comunicare ed informarsi, è la Rete il punto privilegiato per identificare i flussi comunicativi più pericolosi. Il Royal College of Psychiatrists, infatti, ha sottolineato l’esplosione dei siti “pro-ana” e “pro-mia” (siti web ove si incoraggia a pratiche tipiche dell’anoressia e della bulimia), ove le persone coinvolte si incoraggiano a vicenda, si scambiano consigli e pensieri, “normalizzando” quella che invece è una vera e propria malattia. «Allo stesso modo, le passerelle degli eventi della moda come la London Fashion Week possono agire come una vetrina per le donne sottopeso».
L’appello degli psichiatri è rivolto al Governo, affinché faccia qualcosa per limitare il proliferare di siti tanto dannosi. Il problema, infatti, è sostanzialmente di natura culturale ed è da questo punto di vista che occorre lavorare per limitare il fenomeno. Nella settimana della moda, quindi, anche il Regno Unito va a muoversi dove in precedenza hanno dimostrato sensibilità particolare già Francia e Italia. Nel nostro paese l’approccio è simile a quello che vorrebbero tenere oltre Manica: una azione sui motori di ricerca potrebbe portare gli utenti verso siti di informazione reale sul problema, anziché verso quelli pro-ana. Nell’impossibilità tecnica e legale di agire sui risultati, però, l’unico tentativo plausibile è quello di un sito istituzionale che scali il posizionamenti e tenti di occupare posizioni forti sulle query di maggior rilievo. In Italia l’esperimento prende origine da TimShel.it.
Una proposta di legge che renda illegali i siti pro-ana è ad oggi ferma in Commissione Giustizia, ma il parto sarebbe comunque problematico: la bozza Lorenzin-Costa creerebbe il reato di “istigazione al ricorso a pratiche alimentari idonee a provocare l’anoressia o la bulimia”, ma punirebbe i media senza invece andare a coinvolgere altri strumenti la cui responsabilità è probabilmente preventiva e fondamentale. Agire contro i siti pro-ana, insomma, è tutt’altro che semplice. La presa di coscienza sul problema e gli appelli ripetuti durante la settimana della moda, però, sono un primo fondamentale passo avanti.