Qualche giorno fa, la NBA, la lega professionistica americana di basket, ha stabilito delle regole minime sull’uso dei social network.
La riflessione su questo fenomeno è partita dalla scorsa stagione, cioè da quando un giocatore dei Milwaukee Bucks, Charlie Villaneuva, ha inviato un aggiornamento su Twitter dallo spogliatoio, durante l’intervallo.
I giocatori hanno sempre più confidenza con gli strumenti informatici. Se prima avevano siti patinatissimi, magari realizzati da qualche società, ora la possibilità di usare servizi più fruibili e alla moda ha coinvolto anche loro.
Un esempio celebre è quello di Allen Iverson, che per tutta l’estate ha inviato aggiornamenti sull’evoluzione del proprio mercato, sui contatti che aveva e sulle trattative che si stavano avviando. Un altro noto, assiduo, utente di Twitter è anche Shaquille o’Neal.
Le regole che si accinge ad emanare la NBA saranno comunque piuttosto blande, l’astensione dai social network deve avvenire da 45 minuti prima dell’inizio della partita, al momento dell’apertura degli spogliatoi per le interviste. Un intervallo di tempo dunque inferiore rispetto al football, dove il black-out copre anche i 90 minuti precedenti e successivi alle gare. In ogni caso, ciascuna squadra potrà applicare misure anche più restrittive.
Altro provvedimento in corso di approvazione è l’equiparazione dei commenti e degli interventi sui social network a quelli fatti sui media tradizionali, quindi con la possibilità di essere multati in relazione al loro contenuto.
Regole blande sì, ma che comunque inducono qualche riflessione rispetto ad un fenomeno più generale. Dubbi possono nascere dal punto di vista legale rispetto a simili provvedimenti, proprio nel paese in cui la libertà di espressione è più che un pilastro.
A questo, però, si contrappone l’esigenza di non alterare la natura e la qualità del gioco. Oggi è un aggiornamento dallo spogliatoio, quasi una goliardata, domani può essere un’informazione ricevuta in panchina sulla squadra avversaria, o una qualsiasi altra distrazione che può coinvolgere anche chi è concentrato in campo.
Insomma, mentre si gioca che si giochi e basta, sembra voler dire l’NBA.
Foto: compujeramey