Viviane Reding, Commissario Europeo per la Società dei Media e dell’Innovazione. Il suo ruolo nel contesto delle istituzioni europee è particolarmente influente, tanto per il campo d’applicazione quanto per l’intraprendenza del suo operato. Sebbene l’UE non intervenga direttamente sulle singole legislazioni nazionali (cosa che il Commissario ripetutamente sottolinea), abbiamo comunque tentato di far leva sulla posizione privilegiata della Reding per avere a disposizione una cartina di tornasole con cui poter valutare l’operato dell’Italia dal punto di vista dell’UE.
Per questo è proprio alla Reding che ci siamo rivolti, ed è dalla Reding che abbiamo ricevuto molti ed importanti spunti per approfondire tematiche.
Separazione funzionale della Rete
Da anni se ne parla tanto a livello europeo, quanto a livello nazionale: la separazione funzionale della rete è vista come una possibile soluzione ai problemi delle infrastrutture attuali perchè permetterebbe di prendere due piccioni con una fava. Occorre infatti ricordare come, partendo dal caso italiano, la rete su cui viaggiano i bit della navigazione degli utenti è di proprietà di Telecom Italia (eredità SIP). Telecom si trova così da una parte un grosso vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza (vantaggio che l’AGCOM negli anni ha limato solo in minima parte) e dall’altra l’onere di dover gestire, mantenere e rimodernare una rete ormai vetusta. La separazione funzionale, se accontentasse tutti gli operatori, permetterebbe un nuovo equilibrio da cui potrebbe nascere la nuova rete, con un finanziamento distribuito e con parità d’accesso da parte degli attori del mercato. In Italia se ne parla sì da anni, ma nessun passo è stato mai effettivamente compiuto. E nel 2007, parlando generalmente agli stati membri pur con indiretti quanto espliciti riferimenti, la Reding già professava il proprio credo: «nella telefonia fissa la concorrenza è ancora in fasce, visto che in Europa solo il 10% degli abbonati è legato a un’operatore alternativo, mentre gli operatori incumbent rappresentano ancora quasi il 100% delle quote di mercato. Solo nel Regno Unito e in Danimarca si è iniziato a fare qualche passo nella direzione giusta […] Ma c’è ancora molta strada da fare anche nel settore della banda larga, dove gli operatori incumbent sono il 55,6% del mercato, con picchi ben oltre il 60% in molti Stati membri».
Webnews.it: Nel 2007 aveva suggerito in linea generale la possibilità di separare l’incumbent dalla rete nei paesi ove la concorrenza fosse ancora viziata da situazioni problematiche. Nel 2009 in Italia non c’è stata alcuna separazione funzionale e ci sono peraltro grandi problemi nel reperire gli investimenti per la rete di nuova generazione. Cosa ne pensa?
Viviane Reding: «Si deve notare che non è la Commissione Europea, ma i legislatori nazionali per le telecomunicazioni, a dover imporre i requisiti per la separazione. Sotto le attuali regole europee per le telecomunicazioni, il legislatore nazionale può imporre la separazione funzionale – obbligando gli operatori delle telecomunicazioni a separare la loro rete e le loro attività di servizio in qualità di provider – per risolvere i colli di bottiglia persistenti nei mercati in cui i normali rimedi legislativi non hanno affrontato i fallimenti di mercato identificati dal regolatore. La Commissione Europea deve essere informata di queste decisioni prima che siano adottate dal legislatore nazionale per assicurare che la decisione dei legislatori non porti ad una distorsione della competizione nei singoli mercati europei. La Commissione deve anche essere informata su ogni proposta da parte degli incumbent per gli impegni di separazione (che possono modificare o completare altri rimedi legislativi) prima che questi piani vengano accettati.
È importante il fatto che, nell’applicare queste separazioni, si incoraggino gli investimenti, ad esempio nella Next Generation Networks, sia da parte dell’incumbent che da parte dei nuovi entranti. Gli operatori alternativi devono avere la sicurezza di avere le stesse possibilità di accesso alla rete dell’incumbent quando la separazione è proposta dall’operatore dominante piuttosto che dal legislatore. La Commissione Europea, in funzione di guardiano, vigila sul fatto che qualunque finanziamento pubblico sia coinvolto nello sviluppo della rete di nuova generazione, debba essere in conformità con le regole europee per la concorrenza in materia di aiuti di Stato».
Digital Divide e possibili soluzioni
La situazione della banda larga in Italia è fotografata da dati impietosi. Solo il 35% degli italiani, infatti, farebbe uso regolare di Internet, mentre il 45% degli italiani non avrebbe mai avuto il minimo contatto con la Rete. Sono questi numeri che hanno radici lontane e che oggi vanno identificati all’interno di un contesto viziato da un duplice digital divide: quello strutturale e quello culturale. Quello strutturale è originato da una banda larga che non copre ancora vaste zone del paese; quello culturale è figlio di un paese che stigmatizza ogni giorno il Web con un alone di sospetto, che non usa le scuole per portarne il verbo, che non punta sui propri talenti per arricchirne le potenzialità. L’Italia è il paese della tv e dei cellulari, ma il Web è ancora una sorta di nicchia che probabilmente solo il cambio generazionale saprà espandere davvero. Ma allora saremo in colpevole ritardo, ormai.
Webnews.it: Come può il Governo italiano spingere sull’innovazione per ridurre il digital divide ed aumentare la disponibilità della banda larga?
Viviane Reding: «Internet a banda larga è una componente cruciale per l’innovazione. Secondo gli studi sull’ICT è alla base di metà della crescita nella produttività per l’UE. La disponibilità di infrastrutture broadband ad alta velocità è la chiave per trovare nuovi lavori, apprendere nuove capacità, identificare nuovi mercati e tagliare i costi. È essenziale sia per le attività professionali che per i pubblici servizi (scuole, ospedali, uffici governativi). ICT ed in particolare le infrastrutture per la banda larga sono diventati strumenti essenziali per il funzionamento dell’economia moderna.
Un recente studio ha dimostrato che lo sviluppo del broadband contribuirà alla creazione di 1 milione di posti di lavoro in Europa e una crescita delle attività economiche legate al broadband pari a 850 miliardi di euro tra il 2006 ed il 2015 (assumendo un tasso di adozione costante di qui al 2015). Questa crescita è generata da investimenti a monte, dalla creazione di nuove industrie, applicazioni innovative e nuovi modelli di business. La diffusione della banda larga deve essere sviluppata ed espansa ed ho reso una priorità politica la disponibilità del broadband per tutti i cittadini europei entro il 2010 ed un broadband ad alta velocità entro il 2013.
L’Economic Recovery Plan dell’Unione Europea già mette a disposizione un budget per rinforzare gli investimenti in “broadband internet, includendo le aree che sono scarsamente servite”. La Commissione ha proposto il rilascio di fondi per 1 miliardo di euro per gli investimenti in broadband nelle aree rurali. L’Italia sta facendo buon uso di questi fondi allocando ad oggi circa 90 milioni specificatamente per la distribuzione del broadband.
È necessario mantenere focalizzato lo sviluppo del broadband soprattutto mediante:
- l’upgrade ad una banda larga ad alta velocità;
- Annullamento del digital divide giungendo ad una copertura completa;
- Focalizzazione sulle azioni di stimolo alla domanda: aumentare i contenuti per rendere Internet maggiormente accessibile ed assicurare che tutti abbiano le capacità per coglierne i benefici.
La Commissione chiede agli stati membri di implementare attivamente concrete strategie operative in linea con i tre obiettivi indicati. L’Italia ha già portato avanti alcuni obiettivi ambiziosi, incluso l’upgrade al broadband ad alta velocità. La commissione assisterà gli stati membri adottando una Broadband Strategy il prossimo anno per chiudere il gap nella copertura tra i differenti stati. La strategia della Commissione aiuterà ad identificare chiaramente gli obiettivi, offrendo una piattaforma per benchmarking e condivisione delle varie esperienze. Al tempo stesso le strategie nazionali beneficeranno della coordinazione a livello Europeo».
Servizio Universale
Nei giorni scorsi la Finlandia ha annunciato a sorpresa la volontà di portare la banda larga a tutti i propri cittadini inserendola direttamente all’interno del Servizio Universale. La banda larga, insomma, diventa un diritto: 1Mbit/s entro il 2010, 100Mbit/s entro il 2015. In pochi giorni il Regno Unito ha portato avanti simile promessa: obiettivi limitati rispetto alla Finlandia, ma l’impronta è la stessa. Poche ore più tardi anche Renato Brunetta ha promesso la banda larga per tutti: non si è parlato di Servizio Universale, ma il risultato sarebbe pressoché il medesimo (nel caso italiano, però, non sono giunte spiegazioni circa le modalità con cui si dovrebbe arrivare alla copertura completa).
Webnews.it: La Finlandia prima. Poi il Regno Unito e anche l’Italia. Gli annunci relativi all’inclusione della banda larga all’interno dei regolamenti descriventi il Servizio Universale si rincorrono. È pensabile che la banda larga diventi parte integrante del Servizio Universale? Cosa dovrebbero fare i governi e con quali tempistiche?
Viviane Reding: «In Europa, la Universal Service Directive stabilisce le regole basilari sul Servizio Univesale, garantendo un livello minimo dei servizi per i cittadini così come determina un massimale per gli oneri finanziari che devono essere imposti al settore come fonte di finanziamento per i servizi universali. L’attuale Universal Service Directive 2002/22/EC si limita a prevedere una connessione alla rete con funzionalità di accesso a internet a bassa velocità. L’accesso broadband non è pertanto parte del servizio universale a livello europeo. Gli stati membri, comunque, sono liberi di comprendere il broadband per estendere gli obblighi minimi del servizio universale. In ogni caso ogni indebito onere finanziario associato a queste estensioni deve essere coperto da fondi pubblici, ad esempio tramite una tassazione generale, e non dai player del mercato.
Voi fate riferimento alla situazione in Finlandia e nel Regno Unito. Il Governo UK sta abbozzando la nuova legislazione basata sulla Digital Britain Strategy, che include le disposizioni su servizio universale e broadband (questa legislazione è prossima alla pubblicazione e adozione entro l’inverno). La Finlandia, per contro, ha già adottato nuove regole nazionali in proposito. Le nuove disposizioni per il servizio universale in Finlandia fanno uso della flessibilità concessa dalla Universal Service Directive europea indicando connessioni a 1Mbit/s come servizio universale (partendo nel Luglio 2010). Il Governo finlandese ritiene che questi obblighi non costituiranno un onere ingiusto sugli operatori delle telecomunicazioni coinvolti. Comunque, se l’autorità nazionale riterrà che fosse necessario, i costi associati verranno finanziati da budget generali.
Una volta che l’attuale riforma delle regole sulle telecomunicazioni europee verrà adottata, la nuova Universal Service Directive metterà a disposizione ulteriore flessibilità: gli stati membri potranno decidere a livello nazionale di includere il broadband (tenendo conto delle specificità dei singoli mercati nazionali). In questo contesto gli Stati Membri potranno usare nuovi metodi finanziari indicati dalla Direttiva, includendo la possibilità di istituire un fondo per il servizio universale al quale tutti gli attori del settore devono contribuire.
Ciò nonostante, ci sono altre implementazioni e problemi regolamentativi relativi al servizio universale che necessitano di un dibattito a livello europeo. Per questa ragione, la Commissione Europea organizzerà una consultazione pubblica nel 2010 che sarà seguita da una comunicazione che riassumerà il dibattito. Le proposte legislative potranno quindi far seguito se la conclusione sarà quella per cui la Direttiva necessiti di essere aggiornata».
Digitale Terrestre e cultura digitale
In Italia è iniziato lo switch tra analogico e digitale. Alcune province italiane vivono già la confusione del nuovo telecomando aggiuntivo, dei molti canali aggiunti alla disponibilità televisiva, delle ricezioni problematiche, dei decoder da acquistare e delle antenne da cambiare per raggiungere le nuove frequenze. Il tutto, però, nel contesto di un paese che invece non sembra trovare il denaro per finanziare la Rete su cui dovrà viaggiare l’Internet di domani. Digitale Terrestre sì, Internet no: fino a che punto è una giusta scelta? Le priorità sono state stabilite correttamente?
Webnews.it: In Italia stiamo spendendo molto per portare il Digitale Terrestre nelle case, ma non sembrano esserci fondi per stimolare la nuova cultura digitale. Cosa ne pensa a proposito di questa scelta da parte delle istituzioni italiane?
Viviane Reding: «La commissione ha promosso a lungo un approccio multipiattaforma alla televisione digitale, incoraggiando gli stati membri ad assicurare il miglior rapporto costo/efficacia nel completamento della rete DTV in modo da accelerare il roll-out dei servizi digitali e realizzare uno switch-off dei servizi analogici entro il 2012. Molti stati membri hanno comunque basato le proprie strategie sul digitale terrestre televisivo. Questo offre relativamente pochi canali rispetto al satellite o alle esistenti reti via cavo, ed anche poche possibilità per i canali ad alta definizione, a meno che vengano impiegate le ultime tecnologie quali DVB-T2 e MPEG-4AVC. Comunque il DTV ha il vantaggio di essere molto familiare per i consumatori e l’offerta facile da recepire ed a basso costo. Come gli stati membri decidano di bilanciare le spese in infrastrutture e promozione della cultura è una scelta loro. Sia avanzate infrastrutture che contenuti interessanti sono ovviamente essenziali».
La proposta di De Benedetti sull’editoria online
Carlo De Benedetti nelle settimane scorse ha formulato una proposta shock: «Il passaggio dei giornali al web, che amplia l’audience e diminuisce i fatturati, venga sussidiato alla stregua del passaggio dall’analogico al digitale nella televisione. Il meccanismo potrebbe essere simile a quello utilizzato per le politiche di sostegno alle energie rinnovabili. In quel caso l’interesse generale giustifica un prelievo proporzionale erga omnes sulla bolletta energetica. Qui il prelievo potrebbe avvenire sulla bolletta della connettività, a prescindere dall’utilizzo, da parte del singolo, di contenuti informativi durante la propria navigazione. Non si tratterebbe di un contributo perenne ma di un finanziamento alla transizione da regolamentare a livello di singolo paese».
Webnews.it: Cosa ne pensa della recente proposta di Carlo De Benedetti a proposito della tassa aggiuntiva sulla connettività che, secondo il teorema avanzato, dovrebbe aiutare il mondo dell’editoria nel passaggio dal cartaceo al digitale?
Viviane Reding: «La Commissione Europea non contribuisce al dibattito concernente le politiche di competenza nazionale nei singoli stati membri. Comunque, a livello europeo, per creare un singolo mercato per i contenuti creativi su internet, abbiamo bisogno di regole specifiche su consumatori e competizione basate su tre principi chiave:
- assicurare che la creatività sia riconosciuta all’autore, a chi ne detiene i diritti e la diversità culturale europea possa prosperare nel mondo digitale;
- dare ai consumatori modi legali e con prezzi trasparenti per accedere ad un ampio range di contenuti attraverso le reti digitali ovunque, in qualsiasi momento;
- promuovere parità di condizioni per i nuovi modelli di business e per soluzioni innovative per la distribuzione dei contenuti creativi in tutta l’UE
È vero che il settore dell’editoria sta sperimentando una perdita di entrate dovuta ad una diminuzione delle vendite durante questi difficili momenti per l’economia. Comunque, le entrate della pubblicità su internet stanno aumentando costantemente e qui possiamo vedere una volta di più il potenziale digitale. In futuro speriamo di vedere lo sviluppo di nuovi modelli di business per le notizie online. Comunque, abbiamo bisogno di valutare attentamente l’imposizione di nuovi oneri finanziari sull’accesso a internet. Secondo l’ultimo report European Digital Competitiveness, solo il 35% degli italiani usa internet ogni giorno contro una media del 43% in Europa. Nello stesso anno, solo il 17% degli italiani ha letto notizie sui giornali online. Queste cifre indicano che sia meglio evitare ogni misura che possa ostacolare, direttamente o indirettamente, l’uso di Internet in Italia. Internet sta cambiando il panorama degli attori dell’informazione in Europa. Abbiamo bisogno di guardare avanti e supportare anche la crescita dei nuovi tipi di media. Utenti, consumatori o “prosumer” stanno assumendo un ruolo sempre più importante nei media online. Blogger, cittadini, giornalisti e social networkers usano la propria libertà di espressione e internet fornisce importanti benefici al pluralismo dei media ed alla democrazia. Tuttavia, i modelli di business e l’attuale frammentazione delle pratiche di concessione delle licenze stanno lottando per adattarsi a questo nuovo contesto e tutto ciò soffoca lo sviluppo dei servizi sui nuovi media.
La transizione ai nuovi modelli di business per le industrie che non sono “native digitali” è necessaria e il fatto che questo processo venga o meno supportato dal finanziamento pubblico è una scelta che deve essere effettuata dai singoli governi nazionali».
Europeana
La >causa relativa a Google Books negli Stati Uniti ha riportato in auge il discorso Europeana, la biblioteca digitale europea che dovrebbe raccogliere la summa della cultura disponibile nel cartaceo per ridarne lustro nella dimensione digitale. La Commissione Europea, però, nelle settimane scorse ha lamentato la scarsa collaborazione da parte dei paesi membri chiedendo che, invece di guardare ai pericoli provenienti da oltre oceano, si tenti di guardare alle opportunità che abbiamo già all’interno dell’UE.
Webnews.it: L’Italia sta agendo con sufficiente impegno per arricchire Europeana dei contenuti prodotti dal nostro paese?
Viviane Reding
«L’Italia ha supportato molto Europeana ed è in generale dedita allo sforzo di portare i contenuti della cultura digitale online. Tuttavia, le istituzioni culturali italiane hanno contribuito solo per 100000 unità, per la maggior parte immagini, ad Europeana (su un totale di 4.6 milioni). Dal mio punto di vista la situazione non è soddisfacente, specialmente in considerazione dell’importanza e della dimensione del patrimonio culturale italiano. Quattro organizzazioni italiane stanno correntemente collaborando con i propri contenuti: la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, il Ministero della Cultura, l’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze e la Fondazione Federico Zeri dell’Università di Bologna. I classici della letteratura italiana per autori come Dante, Leopardi o Manzoni sono già disponibili su Europeana, ma spesso non per opera delle istituzioni culturali italiane. “I promessi sposi” di Manzoni per esempio lo si può trovare in francese ma non in italiano! Ma la situazione dovrebbe presto migliorare: il Ministro per la Cultura italiano ha recentemente annunciato che entro la Primavera del 2010 oltre 1 milione di oggetti culturali saranno messi a disposizione su Europeana attraverso l’aggregatore nazionale Culturaitalia.it, che include ad oggi 2 milioni di registrazioni dalle biblioteche italiane, i musei e gli archivi».