Ieri vi abbiamo informato degli scarsi ricavi ottenuti dagli artisti tramite il servizio di streaming Spotify: cantanti di sicuro successo come Lady GaGa hanno guadagnato, nel corso dell’intero anno, cifre davvero irrisorie, di poco superiori ai 110 euro. Il modello di streaming basato sulla pubblicità, acclamato dai media come il nuovo P2P killer, è ancora lontano dall’essere un’alternativa valida ai network di filesharing.
La popstar inglese Lily Allen, da tempo ossessivamente impegnata alla lotta al libero scambio fra gli utenti, è nuovamente intervenuta sulla questione, spiegando parte dei misteri che rendono Spotify così poco remunerativo.
Attraverso le pagine del proprio account Twitter, l’irriverente artista sottolinea come siano le major a contendersi la gran parte degli introiti di Spotify, lasciando i musicisti a bocca asciutta:
Sapevate che le major detengono ampie quote di Spotify, e incassano soldi sulla pubblicità anche in questo caso a discapito dell’artista?
Come accennato ieri, sono proprio le etichette discografiche a sottrarre incassi ai propri stessi artisti. La questione, tuttavia, sembrerebbe addirittura più grave di quanto preventivato. Infatti, mentre i contratti tra Spotify e le major prevedono pagamenti irrisori, le etichette indie sono in grado di garantire guadagni più che soddisfacenti tramite lo sfruttamento del servizio di streaming.
I musicisti legati a catene indipendenti di distribuzione, come ad esempio RouteNote, ricevono da Spotify 0,03 dollari ad ogni riproduzione che, per un milione di ascolti, si trasforma in ben 30.000 dollari. Cifre ben lontane dai 113 euro guadagnati da Lady GaGa per lo stesso numero di brani ascoltati dagli utenti.