Grazie ad una meritevole segnalazione di Nicola Mattina, nei giorni scorsi è emersa una storia tutta da capire e tutta da spiegare. Una storia che, sebbene teoricamente alla luce del sole grazie ad un barcamp di qualche mese fa, soltanto ora sta delineando davvero i propri contorni. È una storia di lobby che tira dentro parlamentari, Google ed una nota iniziativa il tutto nel nome del “2.0”.
Al centro di questa storia c’è Reti, un gruppo che si occupa esplicitamente di “lobby” cercando un ponte tra affari pubblici ed affari privati. Quel che è emerso è un duplice contatto che, fino ad oggi, era rimasto nascosto: il gruppo, infatti, da una parte risulterebbe finanziato da Google e dall’altra sarebbe a monte del progetto dell’Intergruppo Parlamentare 2.0 di cui già si è discusso in passato. Diventa a questo punto interessante la presentazione che la stessa Reti fa della propria attività: «Nella società moderna gli interessi sono diffusi, dinamici, multiformi. Sono sempre meno organizzati in rigidi blocchi sociali o politici. Non hanno bisogno di vecchie corporazioni o club esclusivi, ma piuttosto di essere rappresentati in forme chiare, tempi rapidi, con alta professionalità. Nei paesi evoluti queste attività sono esplicite, trasparenti, normate: sono le attività di lobbying. In Italia, finora, non è stato così. Il lavoro di lobbying è stato confinato in una zona grigia e ambigua. Con Reti la lobbying esce dall’ombra, diventa metodo e progetto. Rappresentare in modo esplicito e trasparente interessi legittimi è un arricchimento, una semplificazione, un necessario completamento del processo democratico. Il lobbista non frequenta circoli segreti, non sostiene interessi che non siano dichiarati, non genera false aspettative, non fa commercio di favori».
Il legame tra Google e l’Intergruppo Parlamentare 2.0 trova dimostrazioni su Milano Finanza del 17 Dicembre scorso, quando era possibile leggere: «Google, tra l’altro, secondo quanto si apprende, attraverso una società di relazioni istituzionali finanzia le attività del cosiddetto gruppo parlamentare 2.0 di cui fanno parte molti parlamentari». Se non esplicitato, il legame sembra poter configurare qualcosa di poco trasparente e, per questo, poco legittimo poiché indicante un cordone ombelicale esclusivo tra una azienda ed un gruppo di parlamentari decisamente corposo, all’interno del quale si segnalano nomi quali Luca Barbareschi, Roberto Cassinelli, Beatrice Lorenzin, Luigi Vimercati, Vincenzo Vita e molti altri.
Del resto l’attività dell’Intergruppo appare chiara: «promuovere un confronto tra politica, imprese e cittadini sul Web 2.0 ed i suoi strumenti, al fine di sfruttarne al meglio le opportunità per l’intero sistema Italia in termini di sviluppo economico, culturale e democratico: prima di legiferare bisogna capire e dialogare». L’Intergruppo nei giorni passati aveva peraltro confidato di concordare con il Ministro Maroni la necessità di avanzare una proposta di legge per «stabilire regole efficaci che permettano di intervenire sui gruppi che pubblicano messaggi violenti senza coinvolgere tuttavia la generalità degli utenti, che utilizzano le opportunità offerte dalla Rete per fini assolutamente leciti». Come si è saputo, la proposta è stata poi affossata in favore di una autoregolamentazione.
In questo incontro tra aziende e politica, però, non è stato chiaro il ruolo dell’Intergruppo e, soprattutto, il suo ruolo in funzione degli interessi dell’azienda finanziatrice. Spiegazioni chiare in proposito saranno probabilmente necessarie al fine di sanare una situazione che, emersa dall’oscurità improvvisamente, minaccia altrimenti di farsi nebulosa. Quel che più di ogni altra cosa sembra necessitare di spiegazione è il legame tra Reti e Google, perchè per il resto il legame tra Reti e l’Intergruppo Parlamentare 2.0 è chiaro, pubblico ed esplicito. I contenuti sono stati presentati infatti con tanto di nomi e dettagli dalla responsabile Laura Bononcini al Personal Democracy Forum lo scorso Agosto palesando la necessità emergente in Italia di un dialogo più fitto tra aziende e istituzioni per una sana regolamentazione del settore.
Update
Abbiamo avuto la possibilità di sentire in proposito l’opinione Marco Pancini, European Policy Counsel Google, il quale ha chiarito il fatto che Google non ha mai, né direttamente, né indirettamente, finanziato l’Intergruppo Parlamentare 2.0. Qui ogni dettaglio.