Le reazioni al testo che, firmato dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali Sandro Bondi, introduce una nuova formulazione dell’equo compenso ha attirato gli strali di chi ha commentato la notizia, di chi dovrà farne i conti sul mercato ed ora anche delle associazioni dei consumatori. Non è chiaro, infatti, se il mercato riverserà questi costi sugli utenti o se potrà assorbirne l’entità, ma rimane l’orpello di un costo che potrebbe gravare non poco sulla diffusione delle tecnologie.
Il calcolo spannometrico che abbiamo effettuato all’atto della pubblicazione dei documenti del Decreto quantifica l’entità di una dotazione elettronica media. Sulla base delle capacità dei propri dispositivi, infatti, è possibile applicare i valori nelle tabelle ufficiali per capire a quanto ammonta l’equo compenso generato dai propri cellulari, dai propri hard disk, dalle proprie memorie USB e da ogni altro device compreso nel testo. Ed è di qui che occorre partire per interpretare ad esempio il punto di vista di una azienda come Nokia, direttamente interessata dall’handicap proposto dal Governo, la quale non ha perso tempo per schierarsi con forza contro la proposta ora in discussione in Parlamento.
La posizione del gruppo è tutta nelle parole dell’amministratore delegato di Nokia Italia, Alessandro Mondini Branzi: «L’approvazione del decreto ci lascia assolutamente sconcertati. Nokia crede fermamente che l’imposizione di questa tassa sulla copia privata sia iniqua e ingiustificata. Infatti l’ascolto di musica è solo una delle tante funzioni disponibili sul telefono cellulare, il cui contenuto è solitamente acquistato legalmente dal consumatore che ha pertanto già completamente pagato i diritti d’autore. Imporre una nuova tassa sui telefoni cellulari costringe quindi i consumatori a pagare due volte per lo stesso contenuto. Nokia crede che non sussista un fondamento legale o una base razionale alla tassa sulla copia privata applicata ai telefoni secondo quanto previsto dalla direttiva europea sulla copia privata».
Per i consumatori parla anzitutto Assinform, Associazione Italiana per l’Information Technology legata a Confindustria: «Il decreto ministeriale reso pubblico in data 14 gennaio dal Mibac, reca un danno gravissimo sia all’industria dell’innovazione – in particolare quella informatica – sia al sistema imprenditoriale nel suo complesso. I dati presentati dall’Associazione nel corso del 2009 hanno evidenziato una diminuzione forte del mercato IT italiano, con cali mai visti in questo comparto, specialmente nel sottosettore dei prodotti hardware. All’inizio del 2010 tutto ci attendevamo, meno che un’ulteriore penalizzazione per l’industria nazionale dell’IT e dei suoi clienti principali, cioè le aziende italiane. Il nuovo balzello, infatti, va a danno anche delle imprese oltre che dei consumatori, perché penalizza i personal computer anche per uso professionale e colpisce la crescita della capacità di memoria dei dispositivi, andando contro lo sviluppo della tecnologia. Anche l’eventuale rimborso da parte della SIAE di tale balzello sul materiale utilizzato dalle imprese introdurrebbe una nuova burocrazia di cui francamente non sentiamo il bisogno».
Sulla stessa linea d’onda anche la posizione dell’ADOC (Associazione nazionale per la difesa e l’orientamento dei consumatori), il cui Presidente Carlo Pileri spiega che «La tassa sull’equo compenso [che la SIAE ha però voluto definire in ben altro modo] rappresenta un grave danno per i consumatori, su cui si scaricheranno i maggiori costi sostenuti dai produttori». Con una stima ad offrire una dimensione precisa alle accuse portate avanti: «abbiamo stimato che l’aumento medio dei prezzi dei prodotti tecnologici dotati di memoria sarà del 4%. Un lettore mp3 da 8 gigabyte di memoria costerà in media il 5,6% in più, passando da 122 euro a poco meno 130 euro. Una chiavetta usb da 4 gigabyte costerà il 3% in più, un hard disk esterno da 500 gigabyte vedrà lievitare i suoi costi in media di 5 euro, pari al 2,5% in più del costo medio attuale. Ci chiediamo quale sia il ritorno economico per gli autori, occorre studiare un nuovo sistema che permetta di non danneggiare i consumatori e di remunerare giustamente i proprietari delle opere. Inoltre temiamo che i maggiori costi fomenteranno la crescita del mercato nero e della pirateria».