Gli esami si avvicinano inesorabilmente. Gli scrutini sono iniziati. Google Books è al centro delle attenzioni da tempo e, secondo le prima sensazioni, potrebbe non riuscire a sconfiggere il forte scetticismo espresso da più parti circa la proposta di accordo con autori ed editori. Il 18 Febbraio arriverà la sentenza firmata dal giudice Denny Chin.
Google Books aveva inizialmente proposto agli editori un accordo per “patteggiare” una class action contro il servizio Google Books. Molte le osservazioni sollevate, ma al centro della questione sembravano esserci in modo particolare i libri “orfani” su cui Google ambiva ad ottenere una sorta di silenzio/assenso per l’autorizzazione alla pubblicazione online. Google da parte sua ha sempre difeso la propria proposta ricordando i benefici che una biblioteca online può offrire al cospetto della realtà odierna, ove molti volumi sono pressoché indisponibili per gran parte dell’utenza. La prima bozza dell’accordo andò respinta. La seconda bozza ha apportato piccole modifiche ed è stata ripresentata all’esame della Corte. Scade ora il termine per presentare le osservazioni contro il nuovo testo: nei prossimi giorni la Corte esaminerà le osservazioni raccolte e renderà nota la propria posizione in merito. Posizione che, secondo alcuni, non dovrebbe nemmeno essere espressa poiché non è nei diritti/doveri di una Corte esprimersi a proposito di una proposta che in qualche modo sembra voler riscrivere la normativa sul copyright rivedendone alcuni principi a favore di un gruppo privato.
Amazon da parte sua ha immediatamente deliberato: l’accordo non s’ha da fare. Il gruppo dalla propria ha Kindle e tutti gli interessi che la cosa comporta, ed un accordo di Google con gli editori metterebbe lo store Amazon in difficoltà. Chiara anche la posizione della Open Book Alliance: secondo l’associazione le modifiche apportate al testo sarebbero soltanto una piccola cosmesi finalizzata a nascondere la natura dell’accordo. In realtà, sostiene l’OBA, Google avrebbe come unica finalità il potenziamento del proprio controllo sulle informazioni, così da poter blindare il proprio mercato nel mondo della ricerca online. Ma non solo:
- Accordi segreti con parte degli editori potrebbero nascondere il reale quadro della situazione successivo ad un eventuale benestare della Corte;
- Il solo accesso del brand “Google” sul mercato è già in grado di inquinarne gli equilibri, poiché la potenza del gruppo è di per sé un traino verso la conquista di nuovi settori;
- L’accordo offrirebbe a Google il controllo su milioni di libri, non risolvendo nei fatti alcun problema in tema antitrust;
- L’accordo non risolve un problema, ma soltanto una questione privata tra Google e gli editori.
Internet Archives, Consumer Watchdog, Electronic Frontier Foundation ed altre associazioni avrebbero già notificato alla Corte il proprio pensiero, ed ancora una volta l’approccio alla proposta di Google è di forte contrarietà. 28 pagine sono state firmate anche da Microsoft, secondo cui le modifiche alla prima bozza di accordo sarebbero state qualcosa di «immateriale»: Google, anche con la seconda proposta, starebbe cercando di riscrivere il diritto «costringendo i detentori del copyright ad una joint venture privata» senza rispettare il ruolo esclusivo del Congresso nella definizione dei diritti dei titolari di copyright.
Contro l'”Amended Settlement Agreement” forgiato a Mountain View si schiera anche l’Associazione Italiana Editori (AIE) in rappresentanza degli editori italiani. Spiega il Presidente Marco Polillo: «È vero che il nuovo accordo ha accolto molte delle nostre obiezioni precedenti ed in particolare la richiesta che per le opere europee valgano le normali regole del diritto d’autore e non quelle speciali introdotte dal Settlement, ma questa esclusione è parziale, perché continuano a essere incluse nell’accordo le opere, anche italiane, registrate al Copyright Office degli Stati Uniti. Le parti hanno reputato che fossero poche eccezioni, dimenticando che la registrazione al Copyright Office era invece una pratica comune, indispensabile fino agli anni Ottanta per tutelare le opere straniere negli Stati Uniti». Non solo: «è incongruo che i benefici accordati dal nuovo Settlement ad autori ed editori di Regno Unito, Canada e Australia, per esempio in termini di partecipazione agli organi direttivi del Book Registry, o nell’uso di banche dati specifiche di quei paesi per la determinazione dello status di “fuori commercio”, non siano estesi anche ad autori ed editori italiani che continuano a essere inclusi nel Settlement». L’AIE, però, intende altresì precisare come l’opposizione annunciata entri nel merito e non sia soltanto frutto di una posizione preconcetta: «Le obiezioni presentate non significano che gli editori italiani sono contro il futuro e l’innovazione: siamo contro ciò che non li rispetta. Le soluzioni per includere i libri europei nel rispetto del diritto d’autore ci sono. Per riuscire nell’obiettivo Google ha dichiarato più volte di voler utilizzare Arrow (www.arrow-net.eu), il progetto europeo che a breve, a maggio, avrà pronta una prima architettura. Noi, in quanto capofila del progetto, siamo pronti a collaborare».
Nei giorni scorsi un’opinione avversa alternativa è giunta anche da Lawrence Lessig, esponente centrale della filosofia Creative Commons, il quale ha però avanzato una teoria ben più articolata ed approfondita: l’atomizzazione dell’informazione rende vetusta ed inapplicabile ogni normativa odierna sul copyright: l’approccio di Google alla materia sembra poter perpetrare la situazione, il che implicherebbe un «catastrofico errore culturale» dettato dal fatto che non è possibile regolare le copie in un ambiente digitale ove tutto è basato sulle copie (la stessa digitalizzazione dei libri, a dimostrazione di ciò, è il primo passo verso la creazione di una infinita quantità di copie dello stesso contenuto racchiuso sotto forma di corpus unico: il libro).
Molti contrari, ma qualche voce favorevole. Tra queste si segnalano la Canadian Publisher Council, l’Indian Publishers, l’Australian Publishers Association e dal Regno Unito la Society of Authors. Il quadro generale degli schieramenti è riassunto sul Public Index, ove sono disponibili tutti i documenti consegnati alla corte in questi giorni. Interessante notare come tra le associazioni pronte a schierarsi a favore della proposta figurino ora componenti inglesi, australiane e canadesi, esattamente quelle indicate dall’AIE tra quelle incongruamente favorite dalla bozza in esame.