«Nel prendere atto del fatto che Telecom Italia – evidentemente consapevole del proprio ruolo contributivo (e lucrativo) alla commissione di gravissimi reati ed illeciti civili contro la proprietà intellettuale – si rivolge all’intestata Autorità per tentare di cancellare le prove della propria responsabilità, è opportuno chiarire l’oggetto del giudizio RG 81287/09 pendente avanti la Sezione specializzata proprietà intellettuale del Tribunale di Roma»: così la FAPAV ha introdotto il documento che, in data 4 Febbraio, portava al cospetto del Garante per la Privacy le motivazioni a supporto della propria iniziativa di pressione nei confronti di Telecom Italia (la quale ha anzitempo confermato di non voler consegnare alcun numero IP relativo alla propria utenza). Da qualche ora Repubblica ha pubblicato un articolo che ha riportato il caso al centro dell’attenzione, ma il succo della vicenda è contenuto proprio nella documentazione disponibile sul sito FAPAV.
Punto centrale: «il giudizio non ha nulla a che vedere con il contenzioso c.d. Peppermint, ben noto all’intestata Autorità. Ogni riferimento ad esso è dunque puramente capzioso». la FAPAV allontana quindi immediatamente la propria attività da quella (già condannata dal Garante) firmata Peppermint. Il seguito è una sostanziale spiegazione di questo assunto iniziale: «FAPAV non ha acquisito – né sta acquisendo – alcun dato personale, nè ha dato incarico ad alcuno di farlo. Nel giudizio de quo FAPAV, in ossequio alla legge in materia di protezione dei dati personali ed ai principi anche comunitari che la informano, ha esposto dei dati aggregati, che dunque non sono in alcun modo qualificabili come dati personali. Ed è proprio perché non tratta dati personali, e non ha incaricato alcuno di trattarli, che FAPAV sta chiedendo all’A.G.O. di ordinare a chi legittimamente tratta quei dati (Telecom Italia) di intervenire con le misure opportune e legittime».
L’associazione contesta il download di opere cinematografiche appena uscite nelle sale ed il dito è puntato contro i più noti sistemi di file sharing nonché nei confronti di cosiddetti “siti vetrina” che fungono da redirect verso le fonti cercate. «FAPAV ha segnalato a Telecom Italia nella propria diffida e – di fronte alla colpevole inerzia della stessa – anche all’Autorità giudiziaria, quali sono i siti di riferimento italiani che svolgono attività illegale fungendo da ponte verso siti di hosting che ospitano i contenuti illegali di opere protette dal diritto d’autore. Non è stata realizzata nessuna investigazione sul traffico telematico degli utenti italiani in relazione a questo tipo di siti: si è voluto mettere in evidenza l’esistenza di siti vetrina illegali che potrebbero essere filtrati con la collaborazione dell’ISP, come già avvenuto per alcuni di essi […] FAPAV non ha ottenuto e non può ottenere alcuna corrispondenza tra le URL delle pagine web citate e l’attività telematica degli internauti italiani, poiché soltanto l’ISP può fornire questo tipo di informazioni circa l’attività dei suoi abbonati».
Relativamente al monitoraggio dei canali P2P, la FAPAV conferma indirettamente di aver assoldato un’azienda (che più parti indicano essere la francese CoPeerRight): «alcuni associati FAPAV hanno fatto ricorso ad una società specializzata nella protezione dei diritti d’autore, incaricata di fornire statistiche dei download a partire dai cosiddetti “fake” (o “files decoy”, file che contengono il trailer di un film ripetuto in serie) diffusi da territorio straniero nelle reti peer-to-peer per simulare i file di opere protette dal diritto d’autore. Lo strumento utilizzato altro non è che una versione del software open source eMule, modificato in modo da visualizzare la ripartizione dei download per ISP». Ma l’associazione allontana da sé ogni critica relativa alla gestione dei dati raccolti: «È importante segnalare che, come appare chiaro dalla schermata annessa, nessun indirizzo IP viene visualizzato o stoccato per ottenere l’informazione riguardante l’ISP utilizzato. L’IP degli utenti che scaricano, infatti, viene anonimizzato istantaneamente attraverso un procedimento rapido ed immediato. L’informazione che ne deriva permette di effettuare una richiesta di tipo WHOIS al fine di ottenere le informazioni sui paesi e sulla ripartizione dei download per Internet Service Provider».
Le conclusioni a cui è giunta l’associazione è nel fatto che Telecom Italia sia il provider maggiormente coinvolto. Sebbene la FAPAV intenda affermare il proprio diritto ad avere la possibilità di perseguire quanti si macchiano del reato di pirateria, la finalità dell’azione giudiziaria è differente. L’associazione punta infatti il dito contro il provider invece che direttamente contro gli utenti, chiedendo quindi all’ISP di svolgere un triplice ruolo di tramite:
- «Ordinare a Telecom Italia di comunicare alle Autorità di pubblica sicurezza tutti i dati idonei alla repressione dei reati di illecita riproduzione di opere protette»
- «Ordinare a Telecom Italia di adottare tutte le misure, sia tecniche che amministrative, per impedire ovvero ostacolare l’accesso ai siti usualmente utilizzati per accedere a e riprodurre illecitamente contenuti audiovisivi non disponibili al pubblico»
- «Ordinare a Telecom Italia di informare i propri utenti in ordine alla natura illecita delle condotte di riproduzione di opere audiovisive non disponibili al pubblico, comunicando altresì che tali condotte costituiscono condotte contrattualmente vietate ai sensi del contratto di accesso ad Internet e, per l’effetto che la prosecuzione di tali condotte potrà dare luogo alla risoluzione del contratto medesimo»
La FAPAV ammette l’evidente «irritualità» del ricorso comminato, ma chiede comunque una audizione presso il Garante affinché si possa approfondire la problematica trovando un compromesso tra diritti degli utenti, doveri del provider e garanzie dei detentori del diritto. Sul fronte opposto Telecom Italia tenta di togliersi dall’impiccio chiedendo l’annullamento delle prove riportate, contestando nella natura e nel metodo il sistema di raccolta organizzato. L’iniziativa “irrituale” della FAPAV ha spostato il dibattito su di un piano di maggior equilibrio, ma il Garante sembra comunque essere dalla parte del provider: la privacy viene prima di tutto, dunque ancora una volta le accuse dell’associazione (e degli affiliati ANICA, AGIS, UNIVIDEO, Motion Picture Association) saranno presumibilmente rimandate al mittente.