La Cina nega, le Università respingono le accuse, ma la trama sembra infittirsi: dall’occidente giungono nuove ed ulteriori pressioni indicanti la scoperta del singolo responsabile dell’attacco a Google ed altre alle aziende USA verificatesi nei mesi scorsi. Prima l’identificazione dei poli accademici coinvolti. Quindi l’identificazione della classe. Ora l’identificazione del nome, il quale rimane però al momento sotto segreto.
La tensione sembra nuovamente salire ed il caso è tutto fuorché concluso. La quiete sembrava poter seguire la tempesta, ma a questo punto le tensioni scatenate dalla denuncia della violazione dei server Google sono tornate a prendere vigore dal momento in cui alle resistenze cinesi si è opposta la forza della verità che gli inquirenti statunitensi stanno portando avanti tramite i principali media degli States. Prima il New York Times, quindi il Financial Times: prima il dito puntato contro Jiaotong University e Lanxiang Vocational School, ora l’accusa mirata contro un freelance trentenne legato alle istituzioni locali.
La scoperta degli inquirenti sarebbe circostanziata e precisa: la porzione di codice utilizzata per sferrare l’attacco (approfittando di una sconosciuta vulnerabilità all’interno di Internet Explorer) è stata anzitempo pubblicata su di un forum online e di qui il nesso con l’autore si è fatto diretto. Ma non solo: trattasi di codice a cui le autorità avrebbero avuto accesso dedicato, ed ancora una volta si rimarca pertanto il possibile coinvolgimento delle istituzioni cinesi in un attacco che, a questo livello, avrebbe significato ben maggiore rispetto alla già grave violazione della proprietà intellettuale perpetrata ai danni delle aziende colpite.
Gli USA non solo vogliono smentire la prima presa di distanze della Cina dall’attacco, ma intendono anche smontare i dinieghi relativi alle ultime scoperte. Secondo quanto riportato dalle fonti USA, quindi, la responsabilità delle Università cinesi sarebbe confermata in toto. La fonte da cui ha preso il via l’attacco, infatti, non sarebbe stata compromessa e quindi l’indirizzo IP riscontrato dalle indagini non è frutto di manomissioni. L’attacco è pertanto partito dalla postazione indicata, nell’Università indicata, e per mano di un utente presumibilmente noto.
«Un nuovo campo di battaglia senza polvere da sparo»: è questa una definizione con cui l’esercito cinese ha parlato delle tensioni in atto chiedendo nuove tutele e nuove misure restrittive. Fin dal principio l’avevamo descritta come la nuova guerra fredda, ed il tempo sembra confermare questo tipo di dimensione. Gli USA attaccano sul fronte diplomatico, ma al momento non sono state intraprese azioni ufficiali. Al tempo stesso la Cina risponde sul piano dialettico, ma non ha cambiato il alcun modo il proprio atteggiamento né nei confronti dell’occidente, né nei confronti della Rete. Come in una vera guerra fredda, al momento si muovono soltanto pedine simboliche. E le aziende violate sono semplici vittime sacrificali sulla scacchiera della diplomazia internazionale.