Con l’annuncio di iPhone OS 4.0 Apple ha distribuito un nuovo beta Software Developer Kit agli sviluppatori, con tanto di licence agreement rivisto in alcune parti. Con un passaggio specifico che viene subito segnalato a poche ore dal rilascio. Trattasi del capitolo 3.3.1, portato agli onori delle cronache dall’analisi di John Gruber.
Il capitolo 3.3.1 recita infatti: «Le applicazioni possono soltanto utilizzare API documentate nei modi prescritti da Apple e non possono usare o richiamare API private. Le applicazioni devono essere originariamente scritte in Objective-C, C, C++, o JavaScript ed eseguite da motore iPhone OS WebKit, e solo il codice scritto in C, C++ e Objective-C può compilare e linkare direttamente una API (ad esempio una applicazione che linka una API tramite transizione intermedia o compatibility layer è proibita)». Fuori dai tecnicismi, Apple ha semplicemente chiuso completamente la strada a Flash, sbattendo la porta ad Adobe e ricordando come l’unica programmazione abilitata sull’iPhone sia quella prevista dalle rigide regole imposte da Cupertino.
Adobe sta per rilasciare la propria Creative Suite 5, prevista al lancio per lunedì 12 Aprile, con cui contava di autorizzare gli sviluppatori alla creazione di oggetti da portare su iPhone tramite apposita tecnologia di conversione Flash-to-iPhone (basata su Low Level Virtual Machine). L’apposito “Packager for iPhone” compreso in Flash Professional CS5 poteva essere uno dei punti di forza della suite. La nuova clausola, però, è uno stop deciso: nulla di quanto scritto per Flash o .Net potrà giungere su iPhone. Una mossa strategica difensiva ed ostruzionistica: Apple, semplicemente, sta cercando di delimitare il territorio ricordando agli sviluppatori che sull’iPhone occorre produrre in modo esclusivo e dedicato, senza l’intermediazione di alcun “middleware” che tenti di farsi da traduttore per qualsivoglia applicazione nata per il web o per altre piattaforme. Adobe per ora non ha commentato, ma quella di Apple sembra essere una dichiarazione di guerra a tutto tondo e difficilmente la risposta sarà pacifica.
Niente Flash e niente Silverlight, dunque: gli unici framework abilitati su iPhone sono quelli previsti dai tecnici di Cupertino. Per gli sviluppatori, che già lamentavano negli ultimi giorni il trattamento restrittivo imposto da Apple nell’uso di API differenziate che penalizzano le applicazioni terze rispetto a quelle della casa madre, giunge ora un nuovo giro di vite. Varie le lamentele immediate: gli sviluppatori contestano il taglio netto imposto da Apple, criticano la scelta obbligata di Objective-C e definiscono quest’ultimo come un linguaggio mediocre a cui preferire possibilmente soluzioni alternative.
Difficile, però, prevedere reazioni scomposte. Apple ha in questo momento il coltello dalla parte del manico grazie ad un’offerta di invidiabile successo, grazie ad un brand di forza senza pari e grazie all’assenza di reali alternative paragonabili. Se nel lungo periodo le cose potrebbero cambiare con l’emergere di nuove forze, non è questa invece la realtà odierna: Apple ha la forza e le risorse per imporre regole proprie agli sviluppatori, ai quali allunga però la mano con una piattaforma iAd pensata appositamente per creare un nuovo flusso di entrate grazie all’advertising ed al revenue sharing.
Il capitolo 3.3.1 è pertanto un “prendere o lasciare”. La cui risposta è però, ad oggi, apparentemente obbligata. Dietro ogni rischio c’è un’occasione e davanti ad ogni giardino cintato c’è una strada libera da percorrere: Symbian, Windows Phone e Android ben sanno cosa ciò possa significare a livello di opportunità. E nel frattempo c’è chi invoca anche un intervento dall’alto: se Apple costringe gli sviluppatori ad utilizzare uno strumento unico, la FTC dovrebbe alzare le antenne e valutare se, senza richiamare le normative antitrust, l’azione possa configurare un eventuale illecito. Un punto interrogativo, insomma, che si insinua sul filo sottile tra ciò che è deprecabile e ciò che è vietato.