Troppe volte nelle ultime settimane il termine “Facebook” è stato affiancato al termine “privacy“. Sempre, inoltre, è stato un accostamento determinato dall’insorgere di problematiche di vario tipo. La questione inizia a farsi seriamente problematica non solo nel momento in cui si inizia ad intravedere un possibile intervento istituzionale in materia, ma anche e soprattutto nel momento in cui la ribellione della community inizia ad assumere consistenza e la fiducia vien meno. Non è questo un quadro che Facebook può accettare, poiché in assenza di fiducia vengono meno le basi portanti dell’intero progetto. Il team Zuckerberg, quindi, ha deciso di reagire.
Come la reazione prenderà corpo ancora non è dato a sapersi, ma entro poche ore dal quartier generale del social network è destinato a trapelare qualcosa: entro il tardo pomeriggio, infatti, sarebbero stati convocati gli stati generali del gruppo. Tutti assieme, tutti attorno a un tavolo per discutere di ciò che la privacy debba rappresentare per Facebook, per i suoi utenti e per il suo modo di rapportarsi ai 400 milioni di utenti iscritti. Ed alla luce dei problemi degli ultimi giorni non è da escludersi qualche passo indietro, a garanzia del buon nome del servizio ed in segno di impegno ai fini di un ritrovato rapporto con tutti gli stakeholder.
Prima il problema della chat, resa clamorosamente pubblica all’interno di una pagina di utilità che avrebbe dovuto servire proprio per monitorare le informazioni che ogni utente scambia sul network. Poi la scoperta delle applicazioni installate in automatico ed una seconda ammissione di colpa. Quindi il guaio su Yelp, ove si è scoperta la possibilità di ricavare fior di informazioni tramite un semplice hack che, come uno spioncino della serratura, permetteva di guardare altri utenti del network per ricavarne ampie collezioni di dati. A tutto ciò occorre aggiungere ulteriori dubbi lanciati nelle scorse ore da Webnews, con la segnalazione di Community Page automatiche ove regna una libera condivisione delle attività della propria rete sociale. La privacy sembra insomma far acqua da tutte le parti, e tutto ciò nel contesto di un servizio che di per sé forza giorno dopo giorno la mano per spingere gli utenti a condividere quanto più materiale possibile.
L’aspetto che più è stato additato in queste settimane è il concetto di “opt-out” sul quale è stato basato l’intero social network. L’utente, insomma, non è chiamato ad autorizzare la pubblicazione delle informazioni, ma piuttosto è chiamato al divieto. L’utente, quindi, può intervenire soltanto per bloccare le condivisioni, le quali sono però abilitate di default. I detrattori della privacy chiedono invece un approccio contrario: tutto è bloccato, fino ad autorizzazione esplicita che ne sblocca il vincolo (“opt-in”). Così facendo ogni utente avrebbe maggior controllo delle proprie informazioni, maggior consapevolezza del materiale condiviso e maggior tutela nell’uso di uno strumento spesso gestito superficialmente e con eccessiva ingenuità.
Il meeting convocato da Facebook (del quale è trapelata la notizia grazie ad una segnalazione All Facebook) potrebbe autorizzare una prima retromarcia a partire dalla “Instant Personalization”, il nuovo servizio che permette la condivisione di informazioni con siti terzi autorizzati per consentire esperienze personalizzate basate sul profilo Facebook dell’utente avente sessione FB attiva. Se così fosse i progetti sviluppati con Yelp, Pandora e Microsoft (docs.com) potrebbero essere temporaneamente interrotti, in attesa di nuove necessarie verifiche sulla policy di tutela della privacy all’interno del gruppo.
Facebook ha corso molto e forse deve fermarsi un attimo per fare il quadro della situazione. A questo punto, infatti, ogni ulteriore passo falso potrebbe rivelarsi estremamente deleterio.