Alla fine l’hanno dato a una persona, che testimonia un eccezionale coraggio e ha un grande valore. Il Nobel per la Pace a Xiaobo ha messo tutti d’accordo, tanto che ci siamo dimenticati, per qualche ora, che qualcuno aveva provato a candidare ben altro per questo prestigioso riconoscimento: Internet.
Il Day After della notizia del premio ha cominciato a risvegliare sul Web il dibattito attorno alla bontà di questa proposta, nata nell’ambito dell’edizione italiana di Wired e che presto ha raggiunto risonanza mondiale.
Una campagna di comunicazione a tutti gli effetti, sostenuta con slancio dal direttore, Riccardo Luna. Il quale oggi, prima di chiudere il sipario su un’iniziativa certamente singolare (candidare un’infrastruttura tecnologica e non un individuo), ha voluto togliersi qualche sassolino dalla scarpa con un editoriale che farà discutere.
Già, perché l’iniziativa era stata anche criticata, in particolare da due esperti di marketing, Mirko Pallera e Max Cavazzin, che senza tanti giri di parole avevano accusato Wired di aver usato questa campagna per mero scopo di lucro.
Non credo di mettere in imbarazzo nessuno se rivelo che il mio editore è stato sempre contrario a Internet for Peace. Per un motivo semplicissimo: non serviva al giornale, non faceva vendere più copie, ma aggiungo che mai mi è stato impedito di fare nulla a Wired. La libertà editoriale di cui godo è un lusso: l’unico limite che mi viene dato sono i risultati del giornale. Con Internet for Peace, me ne rendo conto, ho rischiato parecchio: pensare di vendere più copie di un giornale parlando dell’esule birmano Ashin Mettacara invece di Ashton Kutcher, o del blogger georgiano Georgy Jakhaia invece di George Clooney, vuol dire essere pazzi. Io non sono pazzo, non ho pensato un solo istante che quelle storie mi avrebbero fatto vendere più copie, ma pensavo giusto pubblicarle perché quelle voci avessero più forza.
Il direttore poi approfondisce altri aspetti della campagna, difendendone le ragioni pur sottolineando come il premio Nobel al dissidente cinese per molti versi “è stata la scelta migliore”.
Ma da qui a dire che i4p non abbia avuto senso ce ne passa. Bisognerebbe dirlo a Shirin Ebadi, che avendo vinto il Nobel della Pace nel 2003 nella sua qualità di attivista dei diritti umani dissidente, merita almeno lo stesso rispetto di Xiaobo. Bisognerebbe dirlo a Nicholas Negroponte (…). Io mi tengo stretto il consenso culturale di persone che non conosco personalmente ma che ammiro per i loro lavori, quali Jeff Jarvis o David Weinberger che hanno ritenuto di sostenere le ragioni della candidatura. E il post con cui Vint Cerf, uno dei Padri di Internet, questa estate spiegò perché aveva senso considerare la Rete molto di più di “un network di computer”. Ma mi tengo stretti anche i tanti, tantissimi messaggi di questo anno, ricevuti anche dopo il verdetto di Oslo, mandati da coloro che hanno capito cosa abbiamo fatto.
Accuse reciproche che certamente non fanno bene alla causa di chi crede nella forza di Internet e nella sua capacità di liberare le coscienze. Intanto, in queste ore si sta accendendo il dibattito sui blog e i social network italiani.
Secondo voi è stata una campagna sincera, oppure una manovra di marketing? Voi ci riprovereste anche l’anno prossimo?