«Figuriamoci se la Polizia si mette a spiare i navigatori di Facebook»: con poche parole il direttore centrale della Polizia Postale Antonio Apruzzese smonta l’intero “scoop” de L’Espresso secondo cui (grazie ad un accordo «strappato, primi in Europa», con il social network) l’accesso delle autorità ai profili degli utenti sarebbe potuto avvenire senza il previo passaggio attraverso l’autorizzazione della magistratura.
Nella giornata di ieri Giorgio Florian lanciava la notizia: eventuali reati commessi su Facebook o che sul social network avessero lasciato traccia sarebbero stati facilmente rintracciabili tramite un accesso privo di particolari limitazioni ai profili degli utenti per necessità d’indagine. Ma, secondo quanto emerso poche ore più tardi, risulta essere tutto fasullo: a partire dall’incontro avvenuto negli USA per l’accordo, fino ai contenuti dello stesso. Un accordo, infatti, sarebbe stato sì siglato, ma relativo non tanto ad una “scorciatoia” procedurale, quanto più ad un rigoroso protocollo.
E non sarebbe potuto essere altrimenti, come ricorda Apruzzese all’agenzia AGI: «ci muoviamo sempre con l’autorizzazione della magistratura. Anche perchè nel caso contrario tutto ciò che si fa non avrebbe alcun valore processuale. Anzi se violassimo la rete senza autorizzazione della magistratura commeteremmo un reato penale». Si nega pertanto quel che L’Espresso affermava poche ore prima: l’accesso ai profili non solo è negato in assenza di autorizzazione, ma è considerato un vero e proprio reato.
Le spiegazioni giungono con ulteriori dettagli chiarificatori: «ai primi di ottobre sono venuti in Italia, dopo lunghe trattative e contatti i responsabili di Facebook al massimo livello accompagnati anche dai loro legali e hanno illustrato le procedure per chiedere ed ottenere l’accesso alla rete per vicende di polizia giudiziaria e, soprattutto per quali casi, in base alla legislazione anglosassone, si possono concedere le autorizzazioni. Hanno spiegato punto su punto, abbiamo stilato le linee guida e girato le direttive a tutti gli organismi di polizia italiana». Facebook, dunque, non ha autorizzato la Polizia Postale ad alcuna procedura irrituale, ma ha bensì spiegato «punto su punto» il modus operandi da seguire per entrare in possesso delle informazioni cercate sul network.
Il tutto, peraltro, si conclude in una sorta di paradosso. La legislazione anglosassone, infatti, consente di accedere ad informazioni specifiche soltanto nei casi di reati contro la persona, il patrimonio, i suicidi, gli omicidi e la criminalità organizzata. Apruzzese è chiaro: in nessuno di questi casi l’urgenza è importante, dunque la “scorciatoia” annunciata sarebbe inutile oltre ad essere, come ribadito, fasulla.
Ma le parole lasciate all’AGI precisano un fatto su tutti: ogni accesso ai contenuti di Facebook richiede sempre e comunque la preventiva autorizzazione della magistratura.