Facebook non sarebbe totalmente trasparente nel modo con cui viene gestito il famigerato “mi piace” che imperversa ormai sul Web. La segnalazione di Feliciano Intini merita debita attenzione perché solleva una questione di primaria importanza per la tutela della privacy degli utenti online.
Il problema è stato originariamente evidenziato dagli studi di James Brown e Kim Cameron. Facebook, secondo quanto emerso, riuscirebbe a tracciare l’attività degli utenti utilizzando il proprio pulsante “Like” come una sorta di spia segreta che, con la sua presenza pervasiva, è in grado di registrare la presenza del navigante con la possibilità di tener traccia del suo passaggio.
Ma il topic del discorso è soprattutto nel fatto che tutto ciò è sottaciuto, messo in atto senza una dichiarazione esplicita da parte del gruppo. Feliciano Intini riassume in due punti l’essenza vera del problema:
- Facebook non presenta questo widget LIKE come un meccanismo di tracking, quale è realmente visto il suo funzionamento appena documentato
- I siti che decidono di aggiungere il widget LIKE forse non sono altrettanto consapevoli che stanno abilitando Facebook ad operare il tracciamento dei loro utenti
Il pulsante “Mi piace” ha una funzione dichiarata: quella di esprimere con atto volontario un gradimento o quantomeno la volontà di condividere un certo elemento. La ricerca va però ad esprimere anche un terzo elemento fino ad oggi in qualche modo nascosto: la sola presenza del pulsante va a tracciare l’utente fornendo ad un gruppo terzo informazioni in modo silente.
La chiosa richiede una assunzione di responsabilità, perché alla fine di questo articolo comparirà il famigerato pulsante “mi piace”. Questa presenza impone a questo punto un approfondimento ulteriore della questione, poiché la proposta del pulsante significa una sorta di imposizione all’utente. Su questo aspetto Facebook dovrà quanto prima fornire un chiarimento, così che tanto l’utenza quanto gli sviluppatori possano avere piena consapevolezza di ciò che va a succedere in presenza del famigerato pulsante.
La nostra posizione in tal senso è chiara: la protezione della privacy non può essere portata avanti con la chiusura delle porte che l’innovazione apre, ma va implementata instillando consapevolezza. “Consapevolezza“. Per questo motivo il “do not track” a cui auspica Microsoft è cosa buona (ed il post di Feliciano Intini è in tal senso meritorio) e per lo stesso motivo Facebook dovrà immediatamente chiarire la questione. Al tempo stesso, però, il problema non sarà cancellato con la rimozione di un pulsante che, anzi, consigliamo provocatoriamente di cliccare. Perché il click è un atto consapevole. E la consapevolezza deve essere virale.