Era la notte della vigilia di Natale quando Joe Sullivan, capo della sicurezza per Facebook, si è accorto che nelle pagine tunisine del social network stava succedendo qualcosa di strano. Comincia così una vicenda svelata soltanto in queste ore da un giornalista americano che dimostra come Big F ha probabilmente salvato la vita a migliaia di persone.
Lo racconta Alexis Madrigal, giornalista dell’Atlantic, in un lungo articolo che sta facendo scalpore. Intervistando Sullivan, Madrigal è arrivato alla conclusione che il governo tunisino di Ben Alì, poco prima di cadere per le proteste esplose in tutto il paese, ha tentato di hackerare Facebook per impossessarsi delle identità di chi sul Web stava organizzando le sommosse.
“Facebook sta diventando una sfera pubblica in tutti i sensi, e se vuole restare al centro della vita sociopolitica delle persone in tutto il mondo, forse deve andare al di là delle mere questioni tecniche”.
Quella notte, alla segnalazione degli utenti dell’oscuramento delle pagine e della cancellazione degli account, Palo Alto ha cercato una risposta e dopo alcuni giorni è giunto alla conclusione che le autorità governative stavano attaccando il sito per impossessarsi dell’identità degli attivisti.
Così Facebook ha reagito, spostando tutti i dati su altri server più sicuri, aggiungendo un blocco per evitare che una volta sconnessi dopo essersi riconnessi questi account finissero nelle mani della polizia segreta.
Mentre il mondo trepidava per quanto accadeva nelle strade, Facebook, forse inconsapevolmente, ingaggiava una battaglia su Internet non meno importante. Anche se lo stesso Sullivan, dalle pagine dell’Atlantic, tiene a precisare che si è trattato di un comportamento normale:
“Dal nostro punto di vista, si tratta unicamente di un problema di sicurezza, non di politica. Abbiamo reagito tutelando la privacy dei nostri utenti, come abbiamo sempre fatto”.
Nell’articolo Madrigal evidenzia come fin dagli inizi si è molto parlato dell’impatto di Twitter sulle vicende culminate con la fuga di Bel Ali, oggi sappiamo che Facebook ha avuto un ruolo più determinante.
Gli utenti sono in numero maggiore (e in quelle settimane c’è stata una crescita esponenziale di traffico sul sito), inoltre sembra proprio che questo social network abbia avuto un ruolo anche simbolico.
Ne è prova un fotomontaggio che ritrae Mark Zuckerberg con un cartello in mano recante lo slogan di libertà di espressione urlato dai giovani tunisini: Zuckerberg e Facebook simboli di una voglia di libertà.
A volte ci sfugge, ma la questione della salvaguardia della privacy sui social network in certe parti del mondo, in determinati momenti, può essere una questione di vita o di morte.