I content provider paghino per l’utilizzo della banda da parte dei propri utenti: è questo il monito che lancia Franco Bernabé tanto in qualità di Amministratore Delegato Telecom Italia, quanto nel ruolo di Presidente della GSMA. Antichi timori tornano dunque a riprendere corpo tra le pagine del Financial Times, ove Bernabé ha spiegato il punto di vista degli operatori sottolineando le difficoltà odierne nel rendere remunerativi gli investimenti di innovazione tecnologica delle reti.
Le parole di Bernabé non lasciano spazio a fraintendimenti: per i content provider è finita l’era dei “pasti gratuiti”: «fanno un utilizzo massiccio delle nostre reti ma non contribuiscono affatto al loro sviluppo». Bernabé vede insomma chi distribuisce contenuti come una sorta di parassita che sfrutta il lavoro degli operatori della connettività per far lucro occupando il canale. Trattasi di un punto di vista più volte sbandierato dal settore in passato, ma ogni volta tale taglio interpretativo è stato rigettato in virtù dell’altro lato della moneta: è grazie ai content provider che gli abbonamenti per l’accesso alla rete aumentano vorticosamente in tutto il mondo.
Franco Bernabé non fa nomi, ma la sua accusa è del tutto esplicita. Il riferimento va a siti come YouTube o Facebook ed a servizi quali Skype o Google, e per estensione a tutti coloro sfruttano la banda per portare online contenuti che l’utenza fruisce in massa e con forte dispendio di traffico. Se sono questi nomi a stimolare una sempre maggior necessità di banda tra gli utenti, siano questi stessi nomi a finanziare gli investimenti di coloro i quali operano per ammodernare continuamente le reti e la loro portata.
Chi gestisce le reti chiede insomma a chi gestisce contenuti di contribuire all’innovazione delle infrastrutture e, tra le righe, è chiaro il desiderio di ritagliare per i carrier una parte degli introiti che la distribuzione dei contenuti (dalla musica ai social network, passando per i video in streaming) comporta. Parole, queste, che tuonano con maggior eco nel momento in cui proprio Telecom Italia lancia il proprio servizio di distribuzione musicale in streaming (CuboMusica) per dimostrare di poter fare meglio della concorrenza nel ramo e tutto ciò facendo leva sul fatto che la banda e le infrastrutture adoperate sono già di proprietà.
Nelle prossime settimane l’UE metterà attorno ad un tavolo i grandi fornitori di banda ed i maggiori content provider al mondo (Apple, Facebook, Google): l’UE intende favorire il dialogo tra le parti affinché si possa giungere ad una soluzione di compromesso che non pregiudichi il corretto sviluppo della rete. Bernabé, nella sua posizione particolarmente significativa, ha anticipato l’incontro alzando i toni della sfida e rivendicando fin da subito quel che la propria parte pretende. Gli operatori telefonici, infatti, sono in grado di «fornire nuovi servizi, di migliore qualità, ai content provider per servire al meglio i consumatori. E naturalmente questi servizi saranno remunerati».
Il mondo della telefonia, che Bernabé rappresenta anche in qualità di AD dell’incumbent italiano, pretende parte degli introiti per meglio supportare gli onerosi investimenti necessari per il passaggio dal rame alla fibra ottica. Ma nel compromesso formulato potrebbe nascondersi il tarlo di una rete meno libera, meno neutrale e meno democratica.