Il giornale per eccellenza ha deciso di fare il grande passo. La versione online del New York Times sarà a pagamento, dal prossimo 28 marzo. Circonderà dunque i suoi contenuti da un paywall sperando di fare introiti da chi sarà disposto a pagare per entrarci.
Il piano tariffario adottato dalla testata diretta da Bill Keller è il cosiddetto “meter” inventato dal “Financial Times”, rispetto al quale ci saranno più opzioni ed eccezioni.
In pratica, il Nyt potrà ancora essere letto online, ma non più di venti articoli al mese, oltre alla home page (sempre). Dopodiché ci si dovrà abbonare: 15 dollari per tutti gli articoli sul Web e sul mobile, 20 dollari per farlo anche col tablet, 35 per il pacchetto completo sito, app per smartphone e tablet.
Le eccezioni riguardano i motori di ricerca e i social network. Consapevoli che il sistema rigido del cosiddetto “walled garden” ha il grosso difetto di non indicizzare i contenuti (sparire da Google per un giornale online sarebbe come sparire dall’edicola per un giornale a stampa), il Nyt prevede che si possano leggere gratuitamente gli articoli oltre il muro dei venti fino a cinque in più se linkati da Google e senza limiti se condivisi su blog e social network.
Come giudicare questo passo? In una lettera aperta, il giornale ha così presentato l’iniziativa:
“È un passo importante che rafforzerà la nostra capacità di fornire giornalismo di alta qualità per i lettori di tutto il mondo e su qualsiasi piattaforma. Il cambiamento riguarderà innanzitutto coloro che sono forti consumatori dei contenuti del nostro sito Web e le applicazioni mobili.”
La monetizzazione dei contenuti è sempre stato un tallone d’Achille per il giornalismo Web, tanto che il Nyt ha cominciato a lavorare a questo progetto fin dal 2010, andandoci molto cauto. La formula mista, a metà fra quello del “Wall Street Journal”, concentrato sul valore aggiunto, e quello adottato dal Financial Times, “a contatore” è considerato ottimale per mantenere un flusso di lettori free sulle pagine del giornale e non distruggere il capitale pubblicitario della home page.
Niemanlab ha fatto i conti in tasca all’editore, calcolando che se soltanto il 3 per cento dei lettori si abbonasse gli introiti aggiuntivi arriverebbero a 60 milioni di dollari. Ma sono calcoli aleatori: è impossibile calcolare anche la fuga degli internauti dai siti a pagamento.
Gli esperimenti fin qui visti hanno sempre mostrato che la cultura free del Web è dura a morire. Per non parlare del fatto che in realtà il Nyt ha già percorso questo cammino in passato, facendo poi marcia indietro.
Nelll’agosto 2007 aveva una propria offerta di contenuti web a pagamento, “Times Select”, acquistabile con carta di credito al costo di 49 dollari l’anno. Il pacchetto comprendeva editoriali e commenti, aveva 200mila abbonati e produceva ricavi pari a 10 milioni di dollari l’anno (poco più del 3% rispetto ai ricavi pubblicitari). L’abbandono del pagamento e il ritorno al gratuito portò a un aumento del 64% degli utenti unici nei primi mesi dalla chiusura dell’esperimento e un ricavo complessivamente superiore.
Ma dal 2007 a oggi c’è stata la crisi economica, che ha cambiato ancora tutto. Il mondo delle news sta a guardare, per vedere, stavolta, se funzionerà.