A nemmeno 24 ore dal lancio, Amazon Cloud Drive sembra già essere sotto la lente di ingrandimento dei legali delle principali major musicali. Amazon, infatti, avrebbe lanciato il proprio servizio di archiviazione remota dei file musicali senza discutere alcuna licenza con le grandi etichette, e ritenendo quindi nei fatti legale il servizio. Il passato dimostra però che non è tutto così lineare come Amazon vorrebbe ed il caso è pertanto ora destinato a giungere in tribunale.
Quel che Amazon intende offrire all’utenza è uno spazio cloud nel quale archiviare i propri file musicali. L’idea è quella di creare la famigerata “copia privata” su un server remoto, così che la si possa scaricare ovunque vi sia una connessione disponibile. La musica potrebbe essere fruita in streaming o scaricata più volte su più device personali, il tutto tramite un login di accredito che identifica univocamente l’utente consentendo ad ognuno di avere accesso esclusivamente ai file di proprietà. Tempo addietro, però, già un altro servizio aveva annunciato qualcosa di molto simile: trattasi di quel MP3Tunes ideato da Michael Robertson e presto finito tra le maglie dei legali dell’industria musicale.
In ballo ci sono infatti enormi interessi. Se l’idea Amazon dovesse passare, infatti, ogni utente avrebbe accesso libero ai propri file togliendo alle major quel controllo su cui il mercato oggi si regge, senza vincolo con alcun music store e con la possibilità di avere sempre sotto mano i propri acquisti musicali. Amazon da parte sua ritiene del tutto lecito il servizio, annunciandolo improvvisamente e rendendolo immediatamente disponibile. Le major, da parte loro, preannunciano invece approfondimenti in merito per capire come e se ostacolare la corsa del progetto Cloud Drive/Cloud Player. Spiega Liz Young, portavoce Sony Music: «Speriamo che stiano cercando un nuovo accordo di licenza, ma teniamo aperta ogni opzione legale». Le parti sono chiaramente sul piede di guerra ed il primo passo tocca all’accusa.
Se Apple e Google sono state superate nella corsa al “digital locker”, il motivo va ricercato proprio nel tentativo di scendere a patti con le major, tentativo finalizzato all’ottenimento di licenze basate sul compromesso necessario per portare online un servizio autorizzato. Amazon, per contro, ha evidentemente voluto forzare la situazione per ritagliarsi una fetta di mercato per sé e mettendo in conto la possibilità di dover difendere in tribunale la propria posizione. Una forzatura probabilmente necessaria per non rimanere tagliati fuori, una forzatura cercata e voluta in piena consapevolezza di quel che sarebbe successo in seguito.
Craig Pape, responsabile Amazon per il progetto, ha espresso con estrema chiarezza la propria idea in merito: «Non abbiamo bisogno di licenze. La funzionalità è la stessa di un hard disk esterno». Agli effetti, infatti, trattasi semplicemente di una repository remota, in in più l’aggiunta di player ed applicazioni che consentono la gestione e lo streaming dei file. Se l’industria musicale (che ad oggi vede ancora aperta la causa contro MP3tunes) vorrà affermare una realtà differente, dovrà dimostrare che un brano musicale deve essere archiviato in remoto con modalità differenti rispetto ad una immagine, un ebook, una pagina web o qualsiasi altro contenuto.
La legge, del resto, dovrebbe essere uguale per tutti i bit. A meno che alcuni bit non abbiano un peso differente, il che comporta però un riflusso legale di ampia portata la cui scintilla potrebbe ormai essere prossima.
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